Dall’Isola di Smeraldo: cead mile failte!

DUBLINO– Avevamo trovato l’uovo di Colombo: un sindaco palermitano aveva fatto molti viaggi in Irlanda e nella sua bella capitale e credeva di avere capito tutto. Si era parlato di “modello irlandese” e, fiato alle trombe, era stato annunciato che la Sicilia sarebbe diventata come l’Irlanda: Palermo come Dublino.

Cosa è rimasto di tutte quelle grandi idee di valore?Il Sindaco in questione era Leoluca Orlando, al suo secondo mandato. Amico degli Irlandesi ed assiduo frequentatore dell’ Isola di Smeraldo – come del resto il senatore Cossiga – straripava entusiasmo ogni volta che tornava da Dublino con qualche buona idea nella testa da mettere in pratica nella sua Palermo. Diciamolo subito: non gli è riuscito niente di ciò che si era messo in testa, almeno da questo punto di vista. Certamente non per sua oggettiva colpa. Ma va anche detto che il modello irlandese era stato lanciato a livello nazionale e che Orlando lo aveva soltanto ridotto in scala adattandolo alla Sicilia.

Questi grandi progetti sono andati a frantumarsi tutti contro realtà sociali, strutturali, burocratiche ed anche morfologiche non indifferenti. L’irlandese, l’uomo e la donna irlandesi, non sono come gli italiani: per transitività, l’uomo e la donna italiani non sono come gli irlandesi. Amen: c’è toccato metterci l’animo in pace: del “modello irlandese” abbiamo saputo copiare soltanto qualche aiuola ( drammaticamente oscena quella ai piedi della Statua della Libertà, a Palermo: un agglomerato indecente di sterpaglie dopo poche settimane di buona volontà e di fiorellini leggiadri, nda). Abbiamo mutuato dagli irlandesi una cosa odiosa che alla stragrande maggioranza degli italiani proprio non va giù: e cioè i costi esorbitanti della rc auto. Una vera emorragia di euro. Abituata come ero alle enormi distese di prati perfettamente curati ho trovato ridicola l’inaugurazione di quelle strisce di prato al Foro Italico : in Irlanda nessuno inaugura gli spazi verdi. Ci sono e basta. E ci sono per essere goduti.

A Palermo per bonificare la zona portuale un tempo regno di giostre e giostrai sono occorsi anni e migliaia di euro ( ma forse si è partiti già dall’epoca delle lire…) di acqua per fare attecchire ciò che morfologicamente fa difficoltà a sopravvivere. L’onere e l’onore sono toccati al sindaco attuale- Cammarata. Oh gaudio: i palermitani potranno d’ora innanzi camminare a piedi nudi sull’erba soffice ? Assolutamente no. Quel prato è costato troppo per lasciarlo calpestare ai cittadini: sarebbe come mettere a disposizione dei meneghini il verde del Meazza, e cioè un sacrilegio con quello che costa. E così l’eterna illusione di un miglioramento e del conseguimento di spazi da vivere diventa un’altra sorta di “isola che non c’è” : cioè, l’erba è li ma è stata chiusa al pubblico. Ohibò, ed allora perchè si sono spesi soldi pubblici per crearla? Non si sa: forse perchè è bello sapere che c’è; come un’altra ” isola che non c’è”- e cioè l’ Isola Ferdinandea di cui vi racconterò ben presto.

Morfologia: ecco dov’è il problema. A noi mancano gli spazi per creare prati “inutili” dove non si possa edificare neppure una misera casuccia abusiva. Ci manca l’acqua di Dio per tenere vivo e verdeggiante questo assurdo spreco di spazi malamente sottratti alla cementificazione del paesaggio: un andirivieni di autobotti a go-go in Irlanda non s’è visto mai… Da noi è spettacolo fin troppo consueto: tanto da essere sospetto. Ma poi, vogliamo mettere… Da noi camminare a piedi scalzi sull’erba è anche pericoloso : da noi esistono le zecche. E quelle si attaccano eccome. E qualcuno ne muore. In Irlanda non esiste la zecca: non potrebbe sopravvivere a quel clima.

Ma il “modello irlandese” era ben altro che l’arredo urbano o l’allestimento di spazi verdi : doveva apportare significativi cambiamenti alla struttura economica della Sicilia, altro che aiuole… Doveva significare equa pressione fiscale, doverosi contributi statali ( o regionali, nel caso della Sicilia) alle madri che scelgono di stare in casa ad allevare i figli, asili nido a prezzi simbolici per le madri lavoratrici,biglietti aerei a prezzi ridicoli per raggiungere il ” continente” ( da Dublino a Londra si vola con circa 10 euro andata e ritorno: sappiatelo cari amministratori) , significativi contributi ai disoccupati. Ai disoccupati: questo era il nodo principale che il modello irlandese avrebbe sciolto. La disoccupazione sarebbe stata pressocchè azzerata facilitando l’iniziativa privata, incentivando le aziende, sfruttando il richiamo turistico dell’isola, investendo nel comparto ricettivo, snellendo le trafile burocratiche per l’avvio di attività commerciali, modificando gli orari di apertura degli esercizi commerciali, incoraggiando i giovani a mettersi in proprio, dando a quegli stessi giovani i contributi necessari a mettersi in proprio, creando zone pedonali attrezzate e parcheggi multipiano funzionali. Costruendo centri commerciali degni di tale nome in cui la gente avrebbe potuto non soltanto effettuare gli acquisti, ma trascorrere un paio d’ore magari sedendo ad un bar senza aggravio di costi per l’uso di un tavolino.

Fandonie: in Sicilia. Diritti inalienabili : in Irlanda. Tutto ciò che ci è toccato sono state le aiuole spelacchiate ed un bel prato chiuso. In compenso ci siamo tenuti il racket: il pizzo. Inesportabile: nessuno lo vuole. Meno che mai gli irlandesi. Ma strutturalmente, per impostazione culturale, storica e sociale, la Sicilia non può diventare la gemella abbronzata dell’ Irlanda: sarebbe una modifcazione genetica brutale, troppo azzardata e – come tale- destinata ad un clamoroso fallimento. Il palermitanto non corre sul lungomare con lo Yorkshire al seguito, non naviga i fiumi su battelli di legno, non ha il culto della natura nè della pesca del salmone semplicemente perchè non ha nè i fiumi nè i salmoni nè tantomeno un lungomare per cui valga la pena di svegliarsi presto alla domenica. La nostra impostazione è araba, ispanica: tendente all’ozio. E non c’è molto da fare: il DNA non si può reinventare.

Il palermitano non rimane imbottigliato nel traffico con il sacchetto del pane stantio da portare ai cigni : piuttosto quel pane lo getta. Allo stesso modo l’irlandese non si scioglierebbe in auto con quaranta gradi all’ombra e cinquanta percepibili per nutrire i cigni a chilometri di distanza da casa. Il palermitano non sa come sia fatta una mazza da golf semplicemente perchè non sa come sia una distesa di verde a perdita d’occhio: l’unico verde cittadino è inibito al pubblico e l’unico golf è “mini”. Alla fine di tutto le similitudini che saltano agli occhi tra Sicilia ed Irlanda sono ben poche: indubbiamente sono entrambe due isole, con posizione ideale, con belle coste e mari pescosi. Queste due isole però sono popolate da gente enormemente dissimile con pochi comuni denominatori: il senso spiccato della famiglia, l’amore per la buona tavola e l’impronta fortemente ( ma veramente?) cattolica. Tutto si ferma li: non procede oltre.

Il siciliano per migliorare deve andare all’estero: oggi è così. Oggi il siciliano all’estero è un cittadino migliore, un cittadino modello. I ristoratori più gentili e disponibili a Dublino erano siciliani. I ristoratori siciliani in Sicilia sono tra i più sgarbati dal tacco alla punta dello stivale. Sarà per via del fatto che ” nessuno è profeta in Patria”? Chissà… A me piace pensarlo.
Slan!

Alessandra Verzera
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