Castello di Bauso – XIII Settimana della Cultura/ Malanova quanto sono bravi!


CASTELLO DI BAUSO – XIII Settimana della Cultura – Partecipi alla creazione dell’evento, crei l’attesa, poi arriva il giorno del concerto e non sai cosa dire. Perché sono tante le cose da riportare e non sai da dove cominciare. Parlo del concerto dei Malanova, che si è tenuto ieri sera al Castello di Bauso, nell’ambito della XIII Settimana della Cultura. Una settimana che, come faceva notare qualcuno, è stata di nove giorni, nove giorni densi di musica e tante parole. La musica e le parole delle numerose formazioni che si sono alternate nel salone delle feste di quello che fu il palazzo nobiliare dei Cottone e dei Pettini. Un esperimento che ha restituito risultati inaspettati, nel bene e nel male, quindi un’ottima base sulla quale lavorare per il futuro. Le cose positive sono rappresentate dalla qualità dei concerti che, se lo desiderate, potrete rivedere nella rete, su youtube, digitando “fuoricronaca” come chiave di ricerca. Su fuoricronaca.it, invece, ci sono anche i resoconti che con molta fatica sono stati aggiornati quotidianamente. A costo zero, come tutta la manifestazione.
Il Castello di Bauso si presta egregiamente ad ospitare concerti destinati a piccoli gruppi di persone. Si presta bene anche alle riprese video, senza la necessità di montare scenografie artificiali. I problemi acustici si superano agevolmente limitando l’amplificazione. Gli eventi a rotazione, musicali e documentali, sono quindi possibili senza soluzione di continuità.
Le note negative: l’identificazione territoriale del pubblico. Eccezionale quello presente in sala, incomprensibile quello assente. I villafranchesi non c’erano! Si sono visti solo i rappresentanti di qualche associazione. Non può bastare, e questo aspetto apre uno scenario inquietante che non può essere ignorato. I responsabili della struttura dovranno verificare e rivedere le sbavature. Nell’interesse di tutti.
Pioveva anche ieri sera e non è facile raggiungere Piazza Castello sotto il diluvio: le automobili restano più giù, in un piazzale sotto i ponti dell’autostrada. A piedi poi, salendo per una ripida scalinata, si raggiunge il maniero. Qui si incontrano altri problemi per chi ha difficoltà di deambulazione. Si dovrà prendere nota anche di questo aspetto e porvi rimedio.
Pioveva, ma nonostante la pioggia e i disagi la gente è arrivata numerosa. E’ arrivato alla base anche il fisarmonicista dei Malanova, Pasquale Manna. La sua è stata un’odissea: era a Lipari e sino all’ultimo ha temuto di non poter far ritorno a Milazzo per il mare in tempesta. Poi il vento è calato e le note della fisarmonica hanno accompaganto i brani dei Malanova.
C’era come sempre anche Stefano Bonanno con il suo basso elettrico, vicino al camino, quasi come se si volesse riscaldare. Ma è il suo strumento che spesso dà calore alle canzoni.
Un discorso a parte merita Giovanni Ragno, maestro di clarinetto, costruttore dei suoi “friscaletti” e dei curiosi strumenti che arrivano direttamente dalla cultura popolare. Giovanni è il classico musicista, il professionista e l’artigiano che nella sua terra forse non avrà mai una collocazione degna della sua grandezza. Lo avevamo già visto con i Sikè, lo abbiamo rivisto ieri. La sua bravura non sarà mai apprezzata abbastanza qui in Sicilia, dove la gente può fare cose eccezionali ma poi deve pure mangiare e dar da mangiare alla propria famiglia. Gli auguriamo di trovare presto la maniera per conciliare la sua passione-professione per la musica con una degna gratificazione economica.
I Malanova, per chiarire, sono un’associazione. Sono musicisti professionali in tutte le loro sfaccettature, ma non professionisti. Per certi aspetti questa è una forza, è libertà, indipendenza. Per altri aspetti è un limite che la società non riesce a colmare. Penso ai soldi gettati al vento per le sagre della salsiccia e per quelle feste senza senso che si continuano a fare in Sicilia con il placet di amministrazioni comunali prive di scrupoli pur di attirare le orde di affamati.
Davide Campagna. E’ il tamburellista del gruppo, viene da un paese ricco di tradizioni, qui vicino: Saponara. E’ cresciuto a pane e campanelli grazie al Maestro Ugo Venuti de “Il Melograno” e i “Sarba la pezza”. Quando lavora è come se si estraniasse: un tutt’uno con la musica, e i risultati sono sorprendenti. Quando non lavora è di poche parole, serioso e misterioso. Frequenta l’università di Messina, ma dentro il suo sangue scorrono suoni molto antichi, forse come quelli che ascoltava il suo bisononno carbonaro “nta muntagna”, sui Peloritani, nel corso delle lunghe assenze da casa, effetto collaterale di quel mestiere che a Saponara significa ancora qualcosa. E’ un idolo da queste parti. Ma non solo da queste parti.
Sabina, la cantante. Quando “alzava” la tonalità della sua voce mi sono divertito a guardare il pubblico e il tecnico del suono. Fa venire i brividi, tanto è brava. E’ brava ed è una bella persona. Ogni cosa che fa sembra avere un significato, sembra un regalo che fa al pubblico. La stella cometa del gruppo.
Tra i suonatori c’è anche Pietro Mendolia: mi è stato detto di non chiamarlo leader del gruppo. Ieri ho capito perché. In realtà questa band è una sola cosa, una fusione di talenti tanto casuale quanto ben riuscita. Un mezzo miracolo da proteggere a tutti i costi. Qualcuno ha chiesto a Pietro Mendolia: “Ma voi siete gli eredi della Taberna Mylaensis?” . “Magari”, è stata la risposta. La Taberna però non ha retto al tempo e alle problematiche che comporta tenere unito un gruppo di questi livelli. I Malanova forse sì. Degli aspetti musicali puri preferisco non dire nulla, perché parlano le immagini, parla il sito dei Malanova, parla la discografia di questa band. Tutte informazioni rintracciabili in rete, qui, dove abbiamo sperimentato questo modo di informare liberamente.
L’ultima nota è per il Professore Giuseppe Celona, colui che ha tradotto la versione del Pasquale Bruno che ha permesso ai Malanova di comporre uno splendido brano, presentato ieri sera in anteprima. Caro Professore, come vedi hai avuto ragione e nulla di ciò che hai fatto per la tua gente, molti anni dopo aver lasciato il paese, è risultato vano. Tu mi ripetevi spesso una locuzione in lingua latina che significa: “Nessuno è profeta nella [propria] patria”, quando parlavi della tua gioventù. Oggi avresti cambiato idea. Oggi non la penseresti più così.

Francesco Venuto