Un secolo di vita a Canneto

LIPARI – Vecchi scatti in bianco e nero in cui uomini seminudi tormentano la montagna di pomice, carrelli traballanti vomitano nel ventre delle navi il loro carico giù per i pontili ormai in disuso, donne con le gonne alle caviglie e i fazzoletti bianchi sui capelli allargano le lenzuola lavate sulla spiaggia.

La Canneto dell’ultimo secolo rivive con tutto il suo bagaglio di grandezza e povertà nelle immagini che Claudio Merlino fa scorrere sullo schermo. Quattromila foto d’epoca, un tesoro di collezione che è l’archivio storico di Canneto e un po’ di più. Questo umile cultore di storia locale ama proporle di tanto in tanto alla platea di compaesani grandi e piccoli, studenti e anziani, dopo aver trascorso sei anni bussando porta a porta per chiedere di riaprire con lui gli album di famiglia e di lasciargli “rubare” quei ricordi nascosti nei cassetti. 58 anni, ex funzionario Sip oggi in pensione, Claudio Merlino ha iniziato proprio dall’album della sua famiglia, in cui molte fotografie ritraevano la rada di Canneto piena di navi, perché suo padre Alessandro, scomparso ventritré anni fa, era capo pilota del porto.

Oltre cento immagini riguardano i ‘personaggi”, volti di giovani e vecchi, molti dei quali oggi non sono più. Oltre 200 paesaggi d’epoca, con i bastimenti che partono per l’America, le navi a vapore e a vela, le stive che si riempiono di pomice, i pescherecci, i ‘vuzzi i caricu” e i ‘vuzzi i rollu”, cioè i gozzi per il trasporto di merci e passeggeri. Le vecchie squadre di calcio, la Chiesa, i parroci, le confraternite, il fascismo, le tremende mareggiate che hanno distrutto il lungomare di Canneto a più riprese, quando non esisteva la strada né la piazzetta e la scalinata della chiesa era costruita di lato, affinché il muretto anteriore fosse una barriera, seppure eterea, alla furia del mare. «Il mare è amico-nemico per la gente di Canneto e delle Eolie in genere – afferma Bartolino Cannistrà, che negli anni trascorsi sulla poltrona di primo cittadino di Lipari dovette fare i conti forse con la più tremenda mareggiata dell’ultimo secolo – In occasione della mareggiata del 1981 il vento raggiunse i 64 nodi, la velocità più alta del ‘900 nel basso Tirreno. Allora le onde distrussero la strada, il muretto e tutto quanto incontrarono, l’acqua giunse fino allo scalino dell’attuale farmacia. Dopo quell’episodio un innovativo sistema frangiflutti, sperimentato in Sicilia proprio alle Eolie per la prima volta, ha impedito il riproporsi di disastri analoghi: è la barriera soffolta, una serie di massi distribuiti sul fondale a un metro e mezzo di profondità, lungo una linea che segue la costa da Unci fino alla chiesa di San Cristoforo, interrotta a tratti da varchi, conosciuti dai pescatori, per consentire il passaggio delle barche».

Ma il mare è anche quello dove le donne lavavano i totani, mentre gli uomini stendevano al sole le spadare dopo la pesca. Claudio Merlino commenta ogni immagine con la precisione di chi ne legge i dettagli, rivela l’identità di operai in calzoni strappati che spingono i carrelli su pontili altissimi, senza barriere di protezione, o su per il pendio della montagna, sottili come gru, con le braccia aggrappate al “marrabbieddu” a spaccare la colata lavica.

E i ragazzini che seguivano il mestiere dei padri, ritratti in momenti di pausa dal lavoro, o mentre distendono ad asciugare il pezzame con i rastrelli. Scorrono le immagini delle tante ditte che una volta si contendevano le fette di monte: quella di Tani Ferlazzo, di Francesco La Cava, di Angelo ed Emilio Ferlazzo, dei fratelli Maggiore, di Don Vincenzino D’Ambra, la ‘Cooperativa di produzione e lavoro San Cristoforo”, tutte diverse prima che si consorziassero nella Pumex. E lei, la montagna, appare protagonista in una foto di oltre mezzo secolo fa, in cui appariva ancora vergine, appena intaccata dai graffi dell’escavazione manuale.

E quando si finiva di scavare, caricare, scaricare, limare, selezionare e sputare sangue sulla polvere che si levava ad ogni soffio di vento, si poteva andare al bar di Mezzapica, nato nel 1936 in legno, distrutto dal mare, rifatto e inaugurato nuovamente nel 1939. “Nta praia” d’altra parte, si svolgeva la vita sociale di Canneto: ecco le foto della passeggiata domenicale dopo la Messa, delle processioni, ma anche delle sfilate d’epoca fascista, con bimbi in divisa, e i saggi ginnici di uomini e donne sotto le bandiere esposte alle finestre.

Foto di ordinaria vita di provincia, dello strazio quotidiano con la desolazione delle barche sbattute dalle onde sui muri delle case, pure invase dall’acqua e dal sale, con il soffuso compiacimento di accogliere nell’abbraccio di un’insenatura un mondo di natanti che significavano traffico, lavoro e una vita dignitosa. Foto che scorrono sotto gli occhi di chi le scruta, cercando un volto e un nome di ieri, una casa che non c’è più, con l’assoluta consapevolezza che se non li avesse raccolti Claudio Merlino, nel suo straordinario atlante di storia locale, questi scampoli di vita cannetara sarebbero stati sommersi per sempre dalla mareggiata del presente.

Teresa Venuto