Un medico grintoso da Messina alla Norvegia

MESSINA – Seguendo la rotta dello stoccafisso è approdato in Norvegia, dove ha gettato definitivamente l’ancora nel 1985. Egidio D’Angelo, sposato con Britt e padre di due figli, Egidio Niclas e Ingeborg Ailin Alessandra, 18 e 15 anni, però non è un marinaio, ma un medico messinese che a trentacinque anni ha ricominciato quasi da zero a migliaia di chilometri da qui. Dei suoi trascorsi di musicista ancora molti in città si ricordano: chitarrista autodidatta negli anni Settanta – cantava e suonava con uno dei più noti gruppi pop locali, i “Consoli”-, in seguito impegnato ad intrattenere i clienti dei pochi locali notturni esistenti in città, dopo essersi inventato per l’occasione il “Chitarra bar”.

D’Angelo ha quarantotto anni: quando ha lasciato lo Stretto, preferendogli i fiordi scandinavi, era uno dei tanti assistenti di un reparto di cardiologia del Policlinico; oggi, tra le altre cose, è il responsabile primario di Medicina fisica e riabilitativa di un’importante struttura sanitaria di Kristiansud-Frei, ovviamente in Norvegia, nella cui circoscrizione ha ricoperto persino la prestigiosa carica di Presidente dell’Ordine dei Medici.

Oggi il professionista messinese gira il mondo per prendere parte ai simposi internazionali di medicina e sta collaborando a due grossi studi anti-ipertensione arteriosa che saranno valutati nel 2004. Lo scorso aprile ad Atlanta, negli Usa, nel corso di un convegno di cardiologia, si è incontrato con una delegazione di medici messinesi, tra i quali i dottori Coglitore e Cambria del Policlinico, ed è stata subito una curiosa rimpatriata tra “missinisi”. Ad ottobre sarà a Melbourne in Australia, sempre per la società medica norvegese.

Ciò che è straordinario è il modo con cui Egidio D’Angelo ha salito gli scalini della professione medica in una nazione che sotto molti punti di vista è l’antitesi della nostra, specie alle voci “organizzazione”, “efficienza”, “rispetto delle regole”; il tutto aggravato dalle difficoltà rappresentate da una lingua, il norvegese, non proprio alla portata di tutti. Per la città dello Stretto sicuramente D’Angelo oggi continuerebbe ad essere un anonimo medico di cui non si hanno più notizie da tempo se Internet non lo avesse riportato virtualmente a casa, persino nei computer di “Fondo Pugliatti”, quartiere dov’è nato e che si ostina ancora a definire “Il Bronx di Messina”, con l’orgoglio di chi sa che proprio lì si è fatto le ossa. Via Internet, dove D’Angelo ha realizzato un proprio sito con notizie autobiografiche e riferimenti sulle proprie origini, con tanto di stemma della Sicilia e crest dell’università di Messina, lo abbiamo contattato e intervistato.

Dottor D’Angelo, se ho ben capito leggendo la sua pagina web, quando è arrivato in Norvegia la sua laurea in medicina valeva davvero poco. Lei in pratica si è dovuto laureare una seconda volta?

“Il mio è stato un salto nel buio, ho dovuto reimmatricolarmi ad Oslo e sostenere una lunga sfilza d’esami, tutti in lingua norvegese, e innumerevoli corsi; come se non bastasse, la mia specializzazione si deve ricertificare ogni cinque anni tramite nuovi seminari ed esami. Per farle un esempio: un collega chirurgo lombardo se n’è dovuto ritornare in Italia: le sue mansioni qui le poteva svolgere un tirocinante! Lascio a lei i commenti. La medicina fisica e riabilitativa qui è tutta un’altra cosa rispetto a voi (noi) in Italia”.

Cosa si prova passando dal caos all’ordine?

“Dal Caos (si dice proprio così?) all’ordine…: all’inizio male, ma mi sono integrato subito. Qui o si produce o ti mandano via. Però se vali ti danno la impossibilità di andare avanti. Tutto funziona e tutti sono al loro posto, pronti, servizievoli e sorridenti. I medici sono dotati di computer e la cartella clinica è un dato di fatto. La manovra da compiere in Italia qui è compiuta: è quella di dare ordine all’uso delle risorse, finanziandole rigorosamente verso obiettivi programmati”.


Quale Messina si è lasciato alle spalle?

“Una Messina sporca, caotica, poco strutturata, clientelare, la Messina della baronia universitaria e del nepotismo politico e lavorativo, dove la disoccupazione regnava sovrana, la città di ” Ie a mia chi minni futti” e tante altre cose non certo positive, ma pur sempre la mia Messina e guai a chi me ne parla male!”.

Scusi, ma la sua risposta non le sembra contraddittoria?

“Talvolta non penso a quello che dico ma dico quello che penso senza ricorrere all’ipocrisia, ai discorsi contorti. Ecco cosa ho anche lasciato a Messina: i discorsi contorti, l’ipocrisia, il falso perbenismo, il “pari bruttu, a genti chi dici pooi!”.

Cambiamo argomento: esistono ancora i rapporti commerciali tra Messina e la Norvegia?

“Qualche anno fa ho incontrato qui dei messinesi – ai quali ho fornito un aiuto linguistico, che commerciavano in pescestocco e parlavano solo in dialetto e in italiano. Qui la frutta è spagnola, israeliana e italiana. Però gli agrumi non provengono dalla Sicilia e non trovo una spiegazione logica per quest’assenza.”.

Cosa significa essere siciliano per i Norvegesi?

“Mafia! Per superare questo scoglio bisogna allora, osmoticamente, cercare cambiamenti integrativi che spesso non collimano con il tuo carattere, la tua personalità, il modus di impostare la famiglia. Ma mi creda: non è difficile quando non si è soli. Il primo comandamento per me è stato imparare la lingua: 29 lettere d’alfabeto, suoni aspirati, gutturali e a labbra unite che noi neanche ci sogniamo. La caparbietà poi è un obbligo: qui conta quello che sei, non quello che dici di essere. E tutto ciò avviene con la consapevolezza che difendere la tua sicilianità significa muoversi affrontando grosse difficoltà”.

Tornerà a Messina, magari per una vacanza?

“Prima di quanto lei possa immaginare”.

1998 – Francesco Venuto