Professione Giornalista? Sempre meglio che lavorare

MESSINA – Enzo Basso è arrivato nella redazione di Messina del Giornale di Sicilia due anni fa. Proveniva da Palermo dove, sempre per il quotidiano della famiglia Ardizzone, si era occupato di cronaca giudiziaria.

A Messina, con la qualifica di “caposervizio”, si è reso protagonista del rilancio del Giornale di Sicilia nei 108 comuni della provincia, dopo un periodo in cui il quotidiano mostrava segni di incertezza sul fronte delle vendite.

Enzo Basso in questi due anni ha anche aperto le porte del giornalismo a decine di giovani, alcuni dei quali sono già approdati, con contratto d’assunzione professionale, in giornali a diffusione nazionale: è il caso di Giuseppe Carrisi, ad esempio, che adesso lavora nella redazione milanese del settimanale Gente.

Otto Bismark disse che “Chi non ha professione fa il giornalista”; una battuta attribuita a Luigi Barzini recita, invece, che “Fare il giornalista è sempre meglio di lavorare”.

Ma chi sono i nuovi giornalisti messinesi?

“Sono una razza spuria composta da studenti, impiegati e, in minima parte, professionisti del settore. Credo che, secondo i numeri, i professionisti non siano più del 5 per cento.
Fare il giornalista, contrariamente a quello che si crede, è un mestiere molto faticoso, specialmente nelle realtà locali. Il mito del giornalista con la valigia sempre pronta per partire è un’aneddotica che interessa i grandi inviati, cioè una percentuale davvero esigua degli ottomila giornalisti professionisti italiani. Molto spesso il giornalista è un tecnico del mestiere che traduce l’enorme flusso di informazioni che arrivano in redazione da canali diversi”.

Professionisti e pubblicisti qual è la differenza?

“Io sono già perplesso sull’istituzione dell’Ordine dei giornalisti, così come è concepito in Italia. Il giornalista è colui che svolge abitualmente questa professione. Secondo la legge istitutiva dell’Ordine, i giornalisti si dividono in due grandi categorie, quella dei professionisti e quella dei pubblicisti. Se restiamo in tema di giornali locali, l’essenza è costituita dai pubblicisti: non sarebbe possibile fare tutte queste pagine senza la dedizione e l’entusiasmo di un esercito di collaboratori che rappresentano la spina dorsale dei giornali.

La componete dei pubblicisti è a pieno titolo una componente professionale, che garantisce l’ossatura del giornale. Troppo spesso la figura del pubblicista viene ritenuta dai professionisti in maniera non adeguatamente significativa. Ma la figura del collaboratore esterno è praticamente indispensabile”.

Come vengono assunti i corrispondenti?

Vengono assunti per caso, spesso su segnalazione di un amico, oppure grazie all’intraprendenza dell’interessato, che viene in redazione e si propone. Fra tutti i collaboratori che sono stati assunti nei ruoli del Giornale di Sicilia, i più bravi sono quelli che si sono autopromossi; spesso contano le coincidenze, ma anche la capacità di riuscire ad essere convincenti. Tra i requisiti più importanti, comunque, ci sono la costanza e un grande senso di umiltà “.

Quanto guadagnano?

“Il corrispondente, in proporzione al lavoro che fa, guadagna pochissimo, di solito non più di 5-8 mila lire per ogni articolo che scrive. Si scrive soprattutto per passione, è questo sacro fuoco che ripaga la fatica dello scrivere”.

Chi si occupa poi della preparazione del collaboratore?

“Si diventa giornalisti leggendo i giornali. Da un po’ di tempo nella redazione del Giornale di Sicilia mi sforzo, prima di fare scrivere i collaboratori, di spiegare l’abc della professione”.

Cioè cosa?

“Qual è il concetto di notizia e come si cerca l’obiettività, per i esempio; bisogna sentire sempre la controparte e, soprattutto, sforzarsi di non fornire un’informazione viziata”.

E come si cerca la notizia?

“Spesso bisogna avere un fiuto innato. Ad esempio: basta entrare in un bar e sentire parlare due persone perché, fra una frase e l’altra, si scopra un fatto che merita di essere approfondito. Un fatto poi può essere presentato in mille modi diversi, sta all’abilità del giornalista riuscire a raccontare i fatti nel loro aspetto più inedito, nel loro lato curioso.

Comunque il problema maggiore dei giornali, nelle edizioni locali, è che si parla di argomenti che non sono mai vicini alla gente, soprattutto i piccoli centri trovano spazio raramente nelle pagine della stampa, perché si parla di “politichese” e non si parla dei problemi della società”.

Come fa a controllare l’obiettività delle notizie che arrivano giornalmente, per fax, dai suoi collaboratori? E’ normale, come accade nella provincia di Messina, che un consigliere comunale faccia anche la cronaca del Consiglio per un giornale?

“Spesso il cestino delle cartacce è il luogo più idoneo per alcune notizie che solo il “mestiere”, e una veloce verifica telefonica, possono sconfessare. Riguardo alla seconda domanda, il corrispondente, soprattutto, non deve essere legato a cenacoli di potere oppure a lobby di partiti”.

Il giornalista deve andare oltre i fatti, commentando la notizia?

” II giornalista deve raccontare i fatti nella loro esplicazione naturale. Quando riesce a fare questo dà già un’informazione talmente forte che qualsiasi commento è solo un fronzolo”.

Ma che senso hanno i punti interrogativi nei titoli degli articoli?

“Il punto interrogativo è sempre segno di cattivo giornalismo. Non è vietato metterlo, però bisogna farne un uso parsimonioso. I lettori si aspettano un’informazione corretta che riesca a sollevare interrogativi significativi e non dettati solo da un’informazione dimezzata. Quando si approfondisce un argomento e si presenta nella giusta connotazione non c’è bisogno di punti interrogativi”.

Quando il mestiere di corrispondente diventa talmente pericoloso da mettere a repentaglio, come nel caso di Beppe Alfano, la propria vita?

“Succede in aree a rischio come quella di Barcellona, dove già dall’inizio dell’anno si contano cinque morti, e questo è un dato esemplificativo della situazione sociale in quella cittadina.
Soprattutto nel caso di Alfano si è maggiormente esposti perché non si ha alcuna protezione da parte dello Stato e ci si ritrova a lavorare allo sbaraglio, occupandosi spesso di argomenti spinosi e muovendosi in realtà difficili da raccontare”.

Ma è ancora accettabile il concetto di scoop?

“Quello dello scoop è un prurito che hanno tutti i giornalisti che ancora sentono viva la passione per questo mestiere. L’esclusività di una notizia è quello che distingue il giornalista. Spesso la ricerca affannosa dello scoop fa commettere grossi errori, non si può pretendere di avere sui giornali un caso Watergate tutti i giorni. Lo scoop deve essere il frutto di un grossissimo lavoro di ricerca fatto con dedizione e con scrupolo, che poi permette di dare una notizia che, inevitabilmente, ha sempre delle conseguenze”.

Qual è il volto dell’editoria messinese?

“A Messina sono presenti i tre giornali isolani, e c’è una certa vivacità per le antenne televisive che, in questi anni, hanno fatto registrare un’autentica proliferazione.
L’unico grosso problema è che nelle televisioni, spesso, non ci sono le caratteristiche che consentono di fare telegiornali con tutti i requisiti professionali. Ci sono persone che fanno grande uso dell’improvvisazione. E se questo da una parte crea molta vivacità, al tempo stesso è causa di confusione”.

Ai suoi figli consiglierebbe questo mestiere?

“Sinceramente no, anche perché non credo che quella del giornalismo sia la professione del futuro”.

La Sicilia? Per i giornalisti può essere una terra maledetta

Da De Mauro ad Alfano: sette scomode verità. Con l’assassinio di Beppe Alfano la Sicilia conquista un altro terribile primato: quello dei giornalisti morti ammazzati. La catena di omicidi è iniziata il 16 settembre 1970, quando fu prelevato sotto casa Mauro De Mauro, cronista di punta del quotidiano “L’Ora” di Palermo. Da quel giorno di De Mauro non si seppe più nulla, mentre ancora oggi si accavallano molte ipotesi sulle motivazioni che ne hanno fatto commissionare l’assassinio.

Sotto i colpi dei Killers è caduto il 26 gennaio 1979 Mario Francese, cronista giudiziario del “Giornale di Sicilia”, che si era occupato dello scandalo “zolle d’oro”: aveva cominciato infatti un’inchiesta sulla costruzione della diga Garcia, nel territorio di Corleone, e sulle speculazioni attorno ad essa. Il 5 gennaio 1984 l’omicidio numero tre: con cinque colpi di pistola alla testa viene ucciso Giuseppe Fava, ex capocronista di “Espresso Sera”, ex inviato de “La Sicilia”, direttore del “Giornale del Sud” e fondatore della rivista “I Siciliani”. Fava era impegnato a smascherare potenti, corrotti e mafiosi.

Giuseppe Impastato, un giovane di Cinisi, aveva attaccato i padrini della zona dai microfoni di “Radio Out”. Il 25 settembre di tre anni fa lo trovarono sui binari della ferrovia: lo avevano ucciso e poi buttato sulle rotaie. Due giorni dopo veniva assassinato anche Mauro Rostagno, ex militante della sinistra extraparlamentare, e grande accusatore di potenti e collusi con la mafia di Trapani.

L’unico delitto che non è classificato come mafioso è quello del corrispondente da Ragusa de “L’Ora”, Giuseppe Spampinato. Gli sparò il figlio del presidente del tribunale Cambria, che si sentiva sospettato di essere coinvolto nel misterioso assassinio del playboy Tumino. Oggi Cambria è libero e vive proprio a Barcellona Pozzo di Gotto, dove si è consumato il delitto di Giuseppe Alfano, corrispondente del quotidiano “La Sicilia”, ammazzato l’otto gennaio scorso con cinque colpi di pistola, di cui uno sparato in bocca.

Gennaio 1993 – Francesco Venuto