Ritorno a Salina

SALINA – Ho atteso la stagione delle piogge, il periodo in cui un autunno spossato non vede l’ora di cedere il passo all’inverno, per scrivere questo articolo che, come un ossimoro meteorologico, parla invece di sole, mare e montagna. In una sola parola: Salina. Ho lasciato che le sensazioni vissute questa estate nella mia amata isola delle Eolie, invecchiassero nei ricordi come il vino in una botte, per poterle assaporare successivamente, quando la nostalgia suggerita da un migliaio di chilometri di distanza e da un cielo insopportabilmente grigio di una città lontana, mi avrebbe obbligato a versarne il contenuto in un bicchiere ed iniziare a scrivere.

Quel momento è arrivato.

Le parole che fra poco scorreranno sotto i vostri occhi, sono il racconto sommario di due giorni molto intensi, di un breve soggiorno che, come tutte le cose frutto dell’improvvisazione, si rivelano magiche senza un apparente ragione.

E’ il pomeriggio dell’ultimo giovedì di agosto quando, dopo quattro mesi di assenza, rimetto piede a Santa Marina al termine di un tranquillo viaggio in aliscafo da Milazzo. Non sono solo, ho portato con me delle persone care: l’obbiettivo che mi sono prefissato è quello di farle innamorare di Salina.
La giornata, per fortuna, è splendida, e questo basta a spazzare via parte di tutte le preoccupazioni iniziali dovute ad un clima instabile che giorni prima ci aveva costretto a rinviare la partenza e che, adesso, ci mantiene comunque in apprensione.
Ho già in mente l’itinerario da seguire per svelare loro i luoghi incantati dell’isola, ma esiste un piccolo problema: il tempo è tiranno e non abbiamo un mezzo di trasporto privato a nostra disposizione. Siamo pertanto costretti ad affidarci agli autobus, con un’inevitabile perdita di minuti preziosi dettate da attese che rischierebbero di amputare tristemente il mio programma e, di conseguenza, far fallire la missione di innamoramento.
Ma è allora che il caso ci viene in soccorso, proprio mentre controlliamo gli orari e scegliamo la prima meta da raggiungere. Accade infatti che una di quelle persone che non vedevo da tempo immemore, con la quale io, figlio unico, per anni da bambino avevo condiviso i miei giochi identificandolo con quel fratello maggiore, incroci il mio sguardo.
Cinque minuti dopo, accoltolo come un salvatore, ci troviamo a bordo della sua auto e ci dirigiamo verso Lingua, la prima tappa di un percorso breve ma entusiasmante.

Il laghetto di Lingua rappresenta uno di quei tesori che fatichi a comprendere immediatamente, un paesaggio semplice e, al tempo stesso, disarmante ed aspro che stupisce poco per volta, con il passare dei secondi. Questa è almeno l’impressione che ho ogni volta che lo osservo, la stessa che mi è sembrato cogliere negli occhi dei miei compagni di viaggio.
Dopo aver percorso il litorale decidiamo di non perdere un appuntamento fisso con una delle meraviglie culinarie del posto. Ci sediamo ad un tavolo di un caratteristico ritrovo, un vero e proprio salotto mondano dell’isola, per gustarci l’immancabile granita al gelso. Il colorito rossastro che rapidamente campeggia sulle nostre labbra testimonia il voluttuoso apprezzamento.

Risaliamo in macchina e dopo parecchie curve che mettono a rischio una regolare digestione, giungiamo a Pollara, uno degli angoli più suggestivi di Salina, non a caso scelta come scenario dal compianto ed immenso Troisi per il film “Il postino”. Stavolta è la natura ad offrirci qualcosa di indimenticabile, regalandoci un tramonto meraviglioso che ammanta di colori suggestivi, quasi in un lungo abbraccio, i nostri occhi. Erano anni che non vedevamo uno spettacolo del genere: rimaniamo estasiati e per qualche istante rimuoviamo dalla mente la sperduta voracità delle grandi città in cui abitiamo. E’ il primo momento fatato di questa vacanza.
L’indomani ci attende però l’esperienza che il sottoscritto attendeva da un anno: la scalata al monte Fossa delle Felci.

Ci svegliamo alle cinque, una dose portentosa di caffè tenta di rimediare alla grave mancanza di riposo. Veniamo accompagnati a Valdichiesa dal nostro solito angelo custode che, nuovamente, ci rende molto più agevole il compito. E’ proprio dal Santuario della Madonna del Terzito (non è una scelta “scaramantica”) che iniziamo a salire verso la vetta. Per uno sfaticato come me, quello che mi appresto a fare per la seconda volta nella mia vita, assume contorni epici. I primi trenta minuti li viviamo in assoluto silenzio, con lo sguardo basso, in preda alla rigidità dei muscoli e al fiato corto. A rinfrancarci però è, una volta ancora, quella natura che sembra essersi riconciliata con noi dopo l’esilio a cui l’avevamo costretta nelle stagioni vissute in asettiche metropoli. Il sudore è copioso, ma la fatica improvvisamente si dissolve mentre ci troviamo ad altezze sempre maggiori. Quando siamo in prossimità della vetta, siamo in preda ad un silenzio diverso dal precedente, non più frutto della stanchezza, ma di un’ansia travolgente che ci fa trovare energie nascoste.
Poi, è l’ora di un altro istante di magia e credo che per commentarlo sia sufficiente quella fotografia scattata dal tetto delle Eolie, con una felicità che ha molto di fanciullesco.

Ritorniamo a Malfa, dove siamo ospitati a casa di mia nonna. Non so per quali oscure ragioni, nonostante l’acido lattico accumulato, ci convinciamo ad andare in spiaggia, allo Scario. Fosse solo per il tragitto che ci divide dal mare sarebbe una bazzecola, (venti minuti), ma come in “trance” vacanziera mi sottopongo ad una nuova prova di resistenza. Si va, infatti, per scogli, sballottati dalle onde del mare, alla ricerca di patelle. Stavolta però è solo colpa mia, non avrei dovuto accennare alla bontà degli spaghetti conditi con queste prelibatezze marine. Tuttavia, non riporto molti danni , solo qualche graffio, ed una volta ritornati al nostro alloggio, mi metto ai fornelli.
Lascio sbollentare per qualche minuto le patelle, ed intanto preparo un soffritto con aglio e peperoncino in cui versarle successivamente. Aggiungo dei pomodori tagliati a spicchi, del pepe nero e alla fine una manciata di prezzemolo tritato.
Un piatto realizzato con ingredienti semplici, come le incredibili sensazioni vissute in quei due giorni che adesso rivivo nostalgicamente, ma pur sempre con il sorriso tra i denti, perchè penso alla gioia di aver regalato a Salina dei nuovi amanti.
Intanto, mentre trasognate smetto di scrivere, lì fuori continua a piovere.

Si ringrazia Marco “Gin” Cincotta per averci pazientemente e con grande gentilezza accompagnato in lungo ed in largo attraverso Salina.

Salvo Taranto