Condrò e Quel dolce profumo di albicocche

CONDRO’ – Alla voce Condrò il numero degli abbonati del telefono non riesce a coprire neanche due colonne dell’elenco; le varie guide turistiche sulla Sicilia gli dedicano poche righe, più o meno così: “.. a Km. 32 da Messina, a m. 58 nell’entroterra del golfo di Milazzo, ai piedi dei Peloritani settentrionali, 600 abitanti, Condronesi. Fondata nel sec. XIV, fu feudo dei Bonfiglio (1421-1637) e dei Napoli (dal 1743).

Sulla piazza Umberto I è la chiesa Madre di Santa Maria di Tindari, edificata verso la seconda metà del Cinquecento, periodo al quale risalgono i bei portali sulla facciata e sul lato sinistro. Ha tre navate e un soffitto di legno a cassettoni, e arredi di legno intagliato di grande valore (coro, tabernacolo del sacramento, armadi)”, “Guida della Sicilia e delle isole minori”, Ugo la Rosa editore.

Forse non si può chiedere di più per un paese che nel periodo più recente di massima espansione demografica contava al massimo 1300 abitanti. “Condrò è un luogo che si può amare ed odiare con la stessa intensità. – afferma Domenico Schepis, 70 anni, maestro elementare in pensione, una professione su cui ha dovuto ripiegare dopo aver interrotto gli studi universitari di medicina (ha insegnato a leggere e scrivere alle generazioni di condronesi che si sono alternate tra il 1961 e l’82).

Schepis è anche un appassionato di storia locale –Questo paese è stato cancellato più volte: intorno l’anno Mille, durante le incursioni dei pirati barbareschi, poiché era l’unico centro abitato ben visibile e facilmente raggiungibile dal torrente Muto, fu distrutto due volte dagli Arabi e poi ricostruito; la terza volta il paese fu riedificato nel luogo in cui si trova adesso (prima si trovava più in alto, dove oggi sono ancora visibili i ruderi dell’antico cenobio dei Frati minori).

Il toponimo Condrò deriva dal greco Xondros e significa zona di produzione del grano”.

Ma più che la produzione del grano, da queste parti la vera caratteristica è rappresentata dalle albicocche: pare che quelle che si producono qui siano particolarissime per profumo e sapore, caratteristica nota in tutta la Sicilia. La popolazione di Condrò in passato era infatti dedita in modo quasi esclusivo all’agricoltura e all’artigianato nelle sue varie specializzazioni. Anche l’aquila del monumento visibile dietro la chiesa madre è opera d’artigiani locali e realizzata con una particolare tecnica di lavorazione dello stucco.

Qui, dove la gente ha nelle proprie mani la più importante risorsa personale, è voluto tornare dopo la morte lo scultore Antonino Bonfiglio, l’autore del busto marmoreo a Ludovico Fulci, che si trova nell’omonima piazza di Messina. Bonfiglio era nato nel 1895, e avevano visto la luce nel scolo scorso anche quattro donne di Condrò accomunate dall’identico percorso di vita, conclusosi dopo aver superato la soglia dei cento anni: Rosa Isaia (deceduta di recente),

Rosa Pollino, donna Carmela e la signora Napoli. A Condrò si respira ancora l’aria buona, il verde predomina nel circondario e prima di giungere in paese c’è anche un vecchio abbeveratoio in pietra per gli animali.

E’ un luogo che infonde tranquillità (domenica scorsa con l’abitato sotto la neve il paesino era tra l’altro più affascinante del solito), che viene rotta solo da qualche sussulto innescato dai problemi di politica locale. Nino Pollino e Vito Schepis sono due consiglieri di opposizione che lo scorso dicembre sono stati destituiti dall’assessorato agli enti locali per essere poi rimessi al loro posto dal Coreco: convincerli che era opportuno raccontare la loro vicenda magari in un’altra occasione sembrava un’impresa impossibile, ma poi si prestano volentieri ad una consulenza turistico-culturale sul paese.

Tra l’altro a Condrò la politica è molto sentita anche se le casse comunali non hanno grandi risorse da investire ed è quindi principalmente un motivo di prestigio personale per chi ci si butta a capofitto: Rino Scattareggia, il primo cittadino del paese, è presentato da tutti come il primo sindaco di Condrò doc dopo moltissimi anni.

Certo è curioso che Scattareggia in realtà sia nato in Australia, prima che i suoi genitori decidessero di ritornare nel paese d’origine. Ancora oggi è consistente il numero dei condronesi che vive in Australia con il pensiero rivolto alla propria terra; qualche anno fa per molti di loro c’è stata la più commovente delle rimpatriate. E in questo caso non è un modo di dire.

Il maestro Domenico Schepis che lo ha avuto come alunno dice che Rino Scattareggia è un ragazzo a posto, uno dei più bravi a scuola.

Schepis, anche se sono passati tanti anni ce l’ha invece con i suoi compaesani, i quali, dopo i bombardamenti da parte degli alleati che il paese ha subito nel ’43 (qui c’era il comando della divisione Livorno reduce dalla difesa della spiaggia di Gela attaccata dagli Americani), sono penetrati nei locali del municipio, le cui finestre erano state sradicate dalle deflagrazioni, ed hanno fatto incetta di preziose pergamene dell’antico archivio storico, bruciandole per riscaldarsi e per cucinare.

La stessa sorte è toccata ai banchi di scuola e forse anche per questo, molti anni dopo, nel ’58, l’allora Prefetto di Messina regalò agli allievi delle elementari un pranzo che i cinquantenni di oggi ricordano ancora con una punta di nostalgia. Forse era il pranzo della riconciliazione con i banchi di scuola.

A Condrò il nome “Resuttano” vuol dire ancora molto: nella piazza principale esistono ancora i resti del palazzo che si chiama come il principe che sedette nel parlamento siciliano. ” Nella parte vecchia del palazzo, in alto – continua il maestro Schepis – sono ancora visibile le mattonelle esagonali di terracotta che sono state fabbricate qui, nelle fornaci che si trovavano lungo il torrente Muto.

Sempre in un’ampia sala di questa residenza nobiliare di campagna, sino ad alcuni decenni fa i contadini selezionavano la frutta raccolta nelle coltivazioni”.

Un’ultima curiosità: Condrò è stato il paese più fascista della provincia di Messina: “I giovani condronesi erano gli unici dotati di fucili veri, i fucili 91, e quando c’erano riunioni da fare o qualche manifestazione pubblica in provincia erano chiamati loro per fare il servizio di picchettaggio”, dice oggi sorridendo Domenico Schepis.

1 gennaio 1999 – Francesco Venuto