Quando una madre perde la testa: storie di solitudine e di depressione. Ma anche di segnali che nessuno raccoglie.

PALERMO – In Italia tanti bambini muoiono per cause diverse. Malattie, incidenti domestici e stradali, allergie alimentari… Ma alcuni bambini muoiono in modo misterioso : quando sono in casa da soli con le loro mamme. Le guardiane supreme della vita dei figli: le madri che danno la vita ai figli e che darebbero la propria pur di salvare quella del proprio figlio…Non amo trattare di questo argomento così spinoso e così odioso. Un argomento che tocca le corde più profonde del cuore e delle più recondite paure.

Non amo argomentare su queste vicende perché non riesco ad essere obiettiva: quello è il limite in cui la giornalista – almeno “questa” giornalista- cede il posto alla madre. E non è un’ammissione da poco per chi tratta la cronaca come un fatto di ordinaria amministrazione.

Di questo argomento parlo mio malgrado e solo per assecondare la richiesta di qualche lettore che desidera, bontà  sua, conoscere la mia “preziosa opinione”. Darò quindi un’opinione che sia il più asettica possibile: che di prezioso, però, non ha proprio niente.

Questa richiesta mi arriva come uno schiaffo in pieno volto mentre, distante dalla mia città , mi godo un panorama splendido di un mare incantevole: queste sono le mie vacanze. Avevo dimenticato di aprire la posta: il farlo mi ha ricordato che, mentre io godo della brezza gradevole, c’è chi piange i propri defunti. Uno in particolare: un bimbo di appena cinque mesi.

Il bagnetto: il momento più dolce della giornata, dopo la pappa. Il momento in cui il bimbo guarda in viso la mamma, sgambetta e le sorride. La guarda in viso, le guarda i seni: e vede tutto ciò di cui ha bisogno. Il sorriso rassicurante ed il suo alimento.

Eppure un bimbo in quel bagnetto morirà : in quel momento così dolce si spegnerà  la sua esistenza. Resta da capire chi abbia guardato in viso quel bimbo e se abbia sorriso e sgambettato.
Parrebbe di si: ed il condizionale è più che d’obbligo; è un dovere morale.
Pare che il bimbo sia scivolato fuori dalla vita per mano della mamma: una bellissima ragazza con velleità  artistiche ma che si era adattata a fare la banconista in una panetteria. Deve essersi sentita sprecata, frustrata.

E poi la gravidanza, e il bimbo: l’ostacolo definitivo alla sua voglia di fama e di realizzazione personale. Pare che questa bella e disgraziata ragazza abbia ammesso di aver deliberatamente annegato il proprio figlio nel bagnetto.

Molte cose non quadrano: chi l’ha legata? Le mani erano legate davanti e non dietro, come di solito fa un aggressore che vuole ridurre all’immobilità : vero. Ma è vero anche che solo Houdini riusciva a legarsi da solo. Nessuno dopo di lui c’è mai riuscito. E se questa confessione fosse il risultato della disperazione di una madre?

Se fosse una ricerca di protagonismo? Di attenzione? Se fosse la sia pur malsana voglia di dire ” ci sono anch’io”? Se volesse soltanto dire “occupatevi anche di me”? Sono scettica: personalmente ritengo che ci siano altre verità  al di la di quella più ovvia. Ma chiaramente non sta a me né enunciarla né tantomeno cercarla.

Purtroppo questo caso porta alla memoria un altro caso limite : quello di Cogne e del piccolo Samuele.
Un altro figlio da solo in casa con una madre lucida, piuttosto freddina, controllata anche nel dolore tanto da aver suscitato antipatie nell’opinione pubblica che non ravvisava in quella brunetta dal viso vagamente altezzoso neppure la capacità di soffrire per la morte atroce e truculenta del figlio.

Quella donna in primo grado è stata condannata a trent’anni di carcere in virtù del patteggiamento richiesto dal suo legale, Carlo Taormina: se no avrebbe preso l’ergastolo. Quindi questo suggerisce che i giudici siano pienamente convinti della sua colpevolezza: sebbene si tratti di un processo indiziario, in cui non esiste arma del delitto nè movente, ed in cui l’imputata è riconosciuta sana di mente. Un caso giudiziario più unico che raro, proprio per le modalità che hanno portato ad un giudizio così severo. Tutto è contro di lei: non si trova nessun altro indiziato e nessun altro indizio.

Nessuno che abbia un movente forte contro quella famiglia giovane e riservata. Storie tristi di ipotetiche false tracce di sangue, critiche aspre per un fantomatico parrucchiere convocato da Annamaria Franzoni in carcere per dare l’ultimo ritocco alla “madre devastata dal dolore” che quel giorno avrebbe lasciato il penitenziario, e poi quelle due frasi. Due sole frasi che hanno inchiodato all’antipatia incondizionata una madre: quella per cui alla vista del figlio massacrato avrebbe detto al marito di “aiutarla a farne subito un altro” e quell’altra pronunciata in uno studio TV in un fuorionda spietato per cui avrebbe chiesto ” se per caso aveva pianto troppo”. Poi c’è la storia del pigiama e delle ciabatte, dei tempi che non combaciano. Tutte cose che purtroppo sappiamo fin troppo bene. Solo un interrogativo martella e non da tregua: perchè Annamaria Franzoni, sana di mente, avrebbe dovuto massacrare con tanta efferatezza il bimbo che aveva partorito e che dormiva nel letto dei genitori? Questa domanda crea un’inquietudine morale che va ben al di la dei codici di procedura penale e ben al di la anche della sentenza. La madre che più o meno nello stesso periodo centrifugò la figlia di pochi mesi nella lavatrice fu immediatamente riconosciuta inferma di mente, preda di una grave crisi di depressione. Stessa cosa vale per l’altra madre che ha lanciato dal balcone la figlioletta di neppure un anno e corse in casa a tagliarsi la gola.

Ma un altro caso di cronaca, verificatosi oltreoceano, ha evidenziato che le madri non uccidono solo perchè preda della follia. Una donna americana, con il pretesto di un pic nic, ha annegato nel fiume i suoi tre figli di età comprese tra i cinque ed i nove anni: semplicemente perchè il nuovo compagno di questa donna separata le aveva posto un aut aut; o me o i tuoi figli. E la donna aveva scelto l’uomo: una cattiveria senza fine. Ora attende nel braccio della morte: era sana di mente, ma cattiva. Pluriomicida a sangue freddo. Omicidio plurimo di primo grado: pena di morte.

Ma neppure questo è il caso di Annamaria Franzoni, sebbene l’ipotesi dell’ aspirante amante respinto abbia fatto capolino. Ma si parlò di “vendetta” contro Annamaria da parte dell’uomo : quindi nulla a che vedere con la storia della belva americana.
Perchè, oggettivamente, Annamaria Franzoni avrebbe dovuto uccidere ( e poi in quel modo) il suo bambino?

Non se ne viene a capo: ma intanto trent’anni di carcere pendono su quel caschetto bruno che continua a professarsi strenuamente innocente. Ma allora? Non posso nè voglio esprimere la mia personale opinione rispetto a questa vicenda specifica: per la semplice ragione che esiste un appello in corso. Da donna che parla tra amici lo faccio: ma da giornalista devo astenermi per una questione di etica professionale.
Credo che Annamaria Franzoni sia stata fin troppo processata da telecamere e giornalisti alla ricerca spasmodica di audience. Credo che i suoi legali abbiano sbagliato sottoponendo la loro assistita ad una sovraesposizione mediatica eccessiva che non le ha guadagnato il favore dell’opinione pubblica. Credo che abbiano sbagliato molti giornalisti ad allestire circhi in cui il leone che entrava nell’arena era una donna che un tribunale avrebbe dovuto giudicare a riflettori spenti. Questo penso e posso dire. Ma posso dire anche che provo un senso enorme di pietà per chi ha perso la vita prima di averla goduta, di aver mosso il primo passo, avere pronunciato la prima parola, avere frequentato il primo giorno di scuola, avere avvertito il primo fremito d’amore, aver dato il primo bacio. Un senso di pietà immenso tanto più grande per le madri: se erano madri che sorridevano e che amavano i figli e li hanno persi per mano di terzi.

Da questo terrazzo circondato da tende di chiffon color vaniglia il mondo intorno sembra perfetto, come perfetto è il tramonto: ma non lo è, come non lo è la mente umana. Una macchina perfetta ma che richiede attenzioni costanti, proprio perchè è una macchina potente e quindi potenzialmente pericolosa. I segnali sono importanti: il malessere in qualche modo si palesa sempre, con gesti piccoli, controllati ma ricorrenti. Ma spesso vengono sottovalutati, presi sottogamba, fino alle estreme conseguenze e ai gesti tanto disperati quanto eclatanti. Chi ha un disagio e lo manifesta va aiutato ad ogni costo : è un dovere che riguarda ognuno di noi, ogni singolo individuo. Nessuno dovrebbe essere lasciato da solo in compagnia di un malessere subdolo e potenzialmente letale. Molto spesso basta solo vedere ma anche guardare, sentire ma anche ascoltare.
Con il pensiero agli angeli volati in cielo loro malgrado, il fumante piatto di Paella che avrebbe costituito la mia cena di stasera resterà sul tavolo: la madre che vive dentro la giornalista non ha più fame. Nè più voglia di parlare.

Alessandra Verzera

mailto: alessandra.verzera@strettoindispensabile.it

E c’è la “madre-dominante”, quella che distrugge i figli, mentre il marito finge di non vedere

PALERMO – Non ho fatto in tempo a pubblicare il pezzo sulle madri presunte assassine che un mio caro, carissimo amico, mi ha chiesto un’opinione sulle madri che “distruggono i figli pur senza ucciderli”.

Il tasto è per me particolarmente dolente, avendo dovuto contemplare impotente diversi casi del genere. Uno dei quali riguardava una persona a me particolarmente cara ed un altro, quello in questione, riguarda un amico in grave difficoltà a causa della madre: una figura tanto importante quanto, a volte, dannosa…
Ci sono due soli modi certi per far male ai figli: non amarli per niente o amarli troppo.
Ma spesso chi si picca di avere amato troppo un figlio e di aver fatto tutto
“per il suo bene” quel figlio invece lo ha amato poco, o distrattamente: o “come da copione”, senza prestare particolare attenzione ai desideri, ai sentimenti, alla personalità, alle inclinazioni e ai desideri del figlio
stesso.
Costruendo, o perlomeno cercando di costruire, un figlio a propria immagine e somiglianza o che, in qualche maniera, sopperisse alle frustrazioni subite dal genitore all’epoca in era egli stesso un figlio.

Così va sempre a finire che i due estremi si toccano: e da queste alchimie vengono fuori figli incompleti, spesso succubi, molto più spesso dominati psicologicamente dall’ingerenza dei genitori. Molto più spesso dall’ingerenza delle madri: incapaci di decidere per conto proprio, pena il disappunto e la delusione della madre.

Quando lo fanno, quando protestano, quando si accorgono di essere uomini e di volersi affrancare, spesso la “punizione” è severa: esagerata, esasperata ed esasperante quanto inutile.

I padri, di solito, si defilano o al limite offrono sostegno muto alle consorti nel processo di finto amore che le porta ad annientare il figlio.
Il caso del mio amico è quanto di più inverosimile io abbia dovuto ascoltare in diversi decenni di vita.

Uomo brillante, bella professione, bell’aspetto, bella famiglia, bei figli.
Tutto bello. Forse troppo per durare.
Ed infatti non dura.
I rapporti con i genitori non erano mai stati idilliaci: troppi rancori, troppi ricordi affiorati a poco a poco di soprusi subiti, di torti ingiustificati.

La bella famiglia del mio amico si sfascia: come tante altre famiglie e dopo che tutto il possibile per salvarla era stato fatto.
Da questo evento piuttosto comune incomincia a sgorgare un odio sordo ed immenso da parte dei genitori di quest’uomo, improvvisamente schierati dalla parte della nuora.

Terra bruciata intorno all’ “infame” che abbandona moglie e figli: minacce, maldicenze, ritorsioni, falsità di una gravità  impensabile.
Sul conto del proprio figlio: accusato pubblicamente, quasi con il sistema del “porta a porta”, di atti ignominiosi. Avido, immorale, degenere, “fimminaru”: chi più ne ha più ne metta.

Nessuno scrupolo: neppure di fare arrivare una tale mole di maldicenze alle orecchie dei datori di lavoro. Maldicenze sussurrate anche alle orecchie dei nipotini “adorati”.

Probabilmente da molti anni questa donna aveva pianificato, forse inconsapevolmente, la demolizione lenta e sistematica del figlio: il motivo però sfugge a tutti. E proprio per questo distrugge dentro: corrode come l’acido. E poi “Una madre non può”, ci si sente spesso dire. E invece può, se arriva anche ad uccidere il proprio figlio, come la cronaca insegna.

Gelosia? Senso del possesso? Nessuno, sicuramente neppure la madre, può dirlo.

Anzi: la madre dirà sempre di avere amato quel figlio oltre ogni cosa e di avere ricevuto in cambio solo amarezze e delusioni. Un adagio fin troppo frequente, purtroppo. Il figlio, per definizione, è foriero di amarezze
e delusioni: specie quando decide di avere un’età per vivere scisso dal cordone ombelicale. Specie quando smette di servire e riverire.

Il piano è ben congegnato, ma non si intuisce il premio al di la del target: malevolenza, clima di sospetto, crudeltà. Nei confronti del figlio, e, di riflesso, di chi gli sta accanto…
(a.v.)