Per camminare nelle favole

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MALVAGNA – Fare scarpe belle, eleganti e in miniatura è un’arte in cui si uniscono la pazienza certosina e la precisione di uno tra i più antichi mestieri.
Salvatore Mobilia, 62 anni e l’entusiasmo di un ragazzo, conosce l’arte della calzatura da quando era bambino.

Prima apprendista a Malvagna, in provincia di Messina, il suo paese d’origine, poi a Giarre, a Catania e nel ’40 a Messina, a bottega dai migliori calzolai, finché poté aprire il suo negozio, con tre operai.
La gente gli mostrava nelle vetrine dei negozi le scarpe che voleva e che costavano troppo; lui le rifaceva uguali: costruiva i piccoli sogni della gente comune. Allora si lavorava giorno e notte, a credito: pochi soldi e tanta fatica.

Ecco che trent’anni fa parte anche lui verso il pane sicuro, in Belgio, a Liegi, come operaio specializzato nell’industria calzaturiera, pagato a cottimo, faceva una media di quindici paia di scarpe al giorno.
Ma nelle ore libere scopriva una grande passione: le scarpe piccole, piccolissime, micro modellini in tutto uguali alle scarpe normali, tranne che nella funzionalità.

Le scarpette lo hanno lanciato verso il successo: fama, onori e un meritatissimo posto nel Guiness dei primati per la scarpa piu piccola del mondo, solo 5 millimetri di perfezione, cioè sette volte più piccola di una colonna di questo giornale (Giornale di Sicilia).
Abbiamo raggiunto Salvatore Mobilia nella sua Malvagna, dove torna una volta all’anno, ed ora che è in pensione, da due anni può permettersi di restare più a lungo.

Non è necessario sapere dove abita: il primo malvagnese che incontriamo ci conduce fino a casa sua. Ci accoglie con la disinvoltura di chi è avvezzo alla visita dei giornalisti, perché – lo dice con orgoglio – ha partecipato a due trasmissioni dell’emittente francese «Antenne 2», è apparso al telegiornale in Lussemburgo.

Salvatore Mobilia ha esposto le sue creazioni dappertutto, da Ginevra a Bruxelles: «Sempre in hotel di lusso, con tanta gente elegante». La moglie Antonina Oliveri – sono sposati da 41 anni ed hanno tre figli – lo segue in tournée, ma vuol evitare di farsi fotografare, perché il protagonista è lui, Salvatore, con le sue quattrocento miniature tutte diverse, misurabili al massimo nell’ordine dei centimetri, dietro le quali ci sono trenta anni di passione coltivata nelle ore libere.
«Per fare un modellino si possono impiegare anche cinque giorni: bisogna avere un’enorme pazienza perché nella scarpa piccola si nota subito il minimo difetto.

Le soddisfazioni più grandi della sua vita? Forse i riconoscimenti ufficiali ricevuti in Belgio nel concorso razionale per i mestieri tradizionali.
«Nel 1982, quando ottenni la medaglia di bronzo, ero l’unico concorrente a presentarsi come «calzolaio», non come «risuolatore». Allora proposi alla giuria di specialisti un modello da uomo. Nel 1987 ho voluto partecipare per la medaglia d’argento, ho portato una scarpa da donna ed ho vinto».
Quando torna a Malvagna ripara sempre le scarpe per i compaesani, tutti amici e conoscenti. La gente, per ricambiare il piacere di avere le scarpe aggiustate dal «famoso» Salvatore Mobilia, gli regala il vino nuovo, l’olio, le conserve di pomodoro. «Questa volta – ride sono arrivato ad avere in cantina cento litri d’olio».

Signor Mobilia, vende le sue scarpette?
«Sono stati e sono in molti a volerle comprare. All’inizio le regalavo, ma non le vendo, perché mi diverte: meglio che se avessi i soldi in tasca».
Ci ricorda quello che scriveva Pitrè: «Il ciabattino è nella tradizione il tipo del maestro povero per eccellenza».
In fondo, a Salvatore Mobilia basta la bella casa che si è comprata a Liegi, la casetta qui a Malvagna con vista sull’Etna e la sera guardare le stelle con il telescopio, un’altra sua grande passione che oggi sembra sostituire la costruzione delle scarpette. «Ma non lo scriva», aggiunge.
E ci mostra i modellini, studiati uno ad uno, spesso frammenti di storia e di storia del costume.

Ci sono «i scarpi i pilu» cucite con ritagli di copertoni di automobili, usate dai contadini durante la guerra; gli zoccoletti di legno di quando non si trovava il cuoio; gli «zatteroni» del dopoguerra tornati a far ondeggiare le ragazze quindici anni fa; gli stivaletti lanciati da Brigitte Bardot, dal tacco sottile con l’anima di legno ricoperta di pelle.

E poi scarpe da sera, da ginnastica, da riposo con plantare morbido; tacchi e punte a spillo, zeppe di sughero, tacchi a rocchetto; scarpe di camoscio «alla spagnola», di vernice, di coccodrillo; la scarpa di clown, da alpino, da cowboy; il sobrio sandalo francescano, rigorosamente di cuoio naturale; il modello anni ’70, con minuscole borchie e poi trafori nelle pelle, fibbie, fiocchi e cuciture: tutto nelle taglie dei lillipuziani.

1990 – Francesco Venuto