Lassù dove abita Ecce Homo/La vita nel convento secentesco raccontata dai frati francescani

Giornale di Sicilia

VILLAFRANCA TIRRENA (Bauso) – Calvaruso non è più comune autonomo dal 1930, epoca in cui Bauso, Calvaruso e Saponara furono riuniti in una sola giurisdizione amministrativa, chiamata Saponara-Villafranca. Nel 1952 Saponara, riesce a riconquistarsi l’autonomia, mentre Calvaruso rimane una frazione di Bauso, che diventa definitivamente Villafranca Tirrena.

A parte alcuni opuscoli curati dai frati francescani del Santuario, per conoscere notizie storiche sul centro collinare bisogna consultare il «Dizionario illustrato dei comuni siciliani», un’opera rimasta incompiuta per la morte del suo autore, Francesco Nicotra.

1907, Francesco Nicotra in visita a Calvaruso

Fu nel maggio del 1907 che lo storico, guidato dal professore Giuseppe De Tommaso e dell’allora segretario comunale Giuseppe Quattrocchi, visitò Calvaruso alla ricerca di notizie e per fare un’analisi sulla qualità della vita nel paese.
A lavoro ultimato sei pagine del suo dizionario erano dedicate al centro collinare.

La penuria d’acqua il primo problema del paese 

Nicotra si lascia subito incantare «dalle pure e cristalline acque di cui Calvaruso è largamente dotata». Riconsiderando l’ultimo ventennio di storia della frazione, proprio la penuria d’acqua è stato uno dei problemi più gravi, per la cui soluzione un consigliere comunale, eletto con i voti dei calvarusoti, (così li chiama Nicotra), ha conosciuto la galera, vittima di un eccesso di zelo da parte di un tutore dell’ordine, stanco di vederlo protestare.
Dagli atti del censimento della popolazione del 1901, nel paese vivevano 1318 persone, per un totale di 301 famiglie. Oggi la popolazione non supera le 800 unità, ma molti si sono trasferiti nei complessi edilizi di nuova costruzione nel centro di Villafranca.

Il primo paese ad ottenere finanziamenti per l’edilizia popolare grazie ad un sindaco-prete

Eppure Calvaruso conobbe prima degli altri l’edilizia popolare finanziata dallo Stato: «Dopo la guerra del ’15-18 il sindaco del paese è stato padre Nunzio La Rosa. Un prete che dimostrò grandi capacità nello svolgimento del suo mandato -afferma Giuseppe Merlino, nel 1969 è stato per otto mesi sindaco “calvarusoto” di Villafranca Tirrena, e per altri 10 assessore -. Padre La Rosa era ben ammanigliato, il primo telegrafo della provincia  fu installato grazie a lui, proprio a Calvaruso, durante il periodo in cui ministro delle poste era il duca Avarna. «Nel 1923 è stata realizzata la scuola elementare e la sede del municipio».
Nicotra nel suo reportage racconta di avere visto terre «ricche di vigne e di oliveti», mentre i principali prodotti potevano considerarsi il vino, l’olio ed i gelsi. Tutto veniva dalla terra e non c’erano industrie speciali.

Sino all’arrivo dell’Iced si viveva di sola agricoltura

Un’industria per la produzione della calce, invece, fu realizzata agli inizi degli anni Sessanta. Si chiamava «Iced», e allora era un gioiello di tecnologia, (una simile era stata costruita in Israele). Purtroppo furono calcolate male le risorse di materia prima di cui disponeva il sottosuolo, che si esaurirono velocemente, con la conseguente necessità di importare il calcare da Novara di Sicilia, e il conseguente lievitare dei costi di produzione che finirono per far chiudere lo stabilimento.
Sempre secondo Nicotra, in occasione della festività dell’Ecce Homo di Calvaruso, aveva luogo una fiera nella quale si commerciava il bestiame. Con il tempo quest’attività si è perduta, però la gente continua ad accorrere al Santuario a bordo di calessi, e con i cavalli bardati per metterli in mostra, proprio come si faceva un secolo fa.

Calvaruso fu fondata dai coloni della vicina  “Rametta”

Dal punto di vista storico la fondazione di Calvaruso si deve ai coloni di Rametta. Fu Federico II che la concesse a Perrone Gioieni, il protonotaro del regno, la cui famiglia nel 1397 la cedette a Giovanni Taranto. · Due anni dopo finì per permuta a Nicolo Castagna, presidente del Regno. Quindi un susseguirsi di intrecci, parentele costituite per interesse. Fino ad arrivare alla famiglia Moncada, che ebbe un ruolo importante per avere realizzato nel Seicento il Santuario. Oltre il palazzo baronale dove frate Umile scolpì la sua statua miracolosa.

Oggi è di proprietà della famiglia Mezzasalma. Il piccolo castello sorge sulla riva destra del torrente Calvaruso ed è in pessime condizioni. Ciò nonostante il comune di Villafranca Tirrena si sta interessando ad un suo eventuale impiego. Ci sono stati già contatti con i proprietari e l’operazione fa parte di un progetto per il recupero dei palazzi storici che sono rimasti nella località tirrenica.

Francesco Venuto,   pubblicato sul Giornale di Sicilia del 27 gennaio 1991 pagina 20

Tra i pini i tesori del Seicento

VILLAFRANCA TIRRENA — (tv) L’Ecce Homo di frate Umile da Petralia, la statua di legno dipinto posta su un altare laterale della chiesa di Calvaruso, è il «pezzo» più gettonato dai visita- tori del santuario. Ma le attrattive artistico-religiose del complesso sembrano inesauribili.

Si inizia dalla via Crucis di bronzo policromo che accompagna i fedeli lungo la strada che conduce al convento: commissionata dai frati, col contributo delle offerte dei fedeli, è stata realizzata due anni fa dall’artista corleonese Biagio Governali, che ha scolpito i calchi per le stazioni religiose nell’antico convento di Sant’Antonio a Palermo, proprio dove frate Umile da Petralia lavorò ai suoi crocifissi lignei.

Il mistico silenzio del Chiostro

Nel chiostro di Calvaruso, poi, oltre al silenzio mistico che ci si attende da un convento, si trova- no gli affreschi settecenteschi dipinti con gusto popolaresco degli stessi frati francescani e, al centro, il pozzo-cisterna usato dai monaci nel ’600.
Nella chiesa, ancora testimonianze secentesche con il ciborio di legno intarsiato di madreperla e la tela dell’a1tare maggiore, due pezzi restaurati tra l’83 e l’85.

Il Museo della devozione

In un locale prospiciente il chiostro, inoltre, i frati di Calvaruso hanno organizzato sette anni fa un museo della devozione, raccogliendo opere prima custodite nella chiesa: tra l’altro, una ventina di tele exvoto dipinte tra la fine dell’800 e gli inizi del ’900 con miracoli e prodigi dell’Ecce Homo; vari candelieri del Settecento e un’artistica «Strage degli innocenti» ottocentesca, composta da statuine di legno vestite di stoffa e alte circa 25 centimetri.
All’interno del convento, la suggestione tutta spirituale del complesso è affidata alle cellette originali, con le porte dagli stipiti ribassati per chinare la testa in segno di umiltà; e ad angoli «salvati» nelle loro strutture secentesche: come il salottino che i frati hanno ricavato in una stalla, che conserva tuttora i muri vista.
T. V.