La ducea degli Avarna, una chicca nel cuore dei peloritani

GUALTIERI SICAMINO’ La tragica morte del duca Giuseppe Avarna ha fatto accendere i riflettori su Gualtieri, paesino collinare un tempo feudo di una tre le più nobili famiglie isolane. Oggi il paese è meta di visitatori e curiosi che si avventurano fino alla frazione Sicaminò, distante dal centro tre chilometri, a 300 metri di altezza sul livello del mare. La ducea custodisce il palazzo degli Avarna e un piccolo borgo rurale assopito in mezzo al verde.

Un nobile che faceva parlare molto di sé.

La sua popolarità  attira ancora oggi molti visitatori

E’ un modo per rendere omaggio alla memoria all’aristocratico, la cui popolarità da molti anni aveva oltrepassato gli stessi confini nazionali.

Gualtieri ha due importanti frazioni, Sicaminò e Soccorso. Sicaminò è un tipico borgo agricolo che varrebbe la pena di recuperare; qui c’era l’azienda-città degli Avarna, con il suo particolare impianto urbanistico: la piazza principale all’ingresso dell’abitato con tanto di indicazione del Touring Club italiano sui muri di un edificio. Il centro amministrativo, i magazzini dove si trasformavano i prodotti della terra, la scuola intitolata all’amata Donna Magda Avarna, la chiesa e il “castello” dimora della nobile famiglia.

Il castello degli Avarna

Un luogo affascinante, oggi abitato da pochissime persone, tra cui qualche pastore. Frequentato dalle giovani coppiette in cerca d’intimità.

Le cascate Cataolo

Di qui si passa per arrivare alle cascate “Cataolo”, un’oasi ambientale e idrogeologica per la cui valorizzazione è stato investito parecchio denaro della Regione Siciliana. Tuttavia ogni sforzo è stato reso quasi inutile dall’inadeguatezza di quella che è a tutti gli effetti un’ex trazzera asfaltata, priva di protezione lungo il lato che dà a valle. E’ la strada che collega Gualtieri a Sicaminò passando per una lunga serie di curve in salita.

u questa strada c’è il cimitero dalle cui mura spiccano tombe curiosamente organizzate: due specie di sarcofagi di cemento piazzati su alti pilastri di sostegno.

Dall’altra parte della strada c’è invece una sorta di baraccopoli messa insieme dai contadini per il ricovero degli attrezzi e che stride con l’ambiente circostante.

Il fatto che Sicaminò sia un centro interessante lo dimostra il fatto che la Soprintendenza per i Beni culturali sta valutando l’ipotesi di intervenire per apporre il vincolo etno-antropologico a parte del borgo, con i suoi edifici agricoli ben conservati. Assieme al probabile acquisto del castello (un palazzo fortificato risalente al periodo di Federico II di Svevia, poi ristrutturato e riadattato a residenza nel 1944) da parte della Provincia Regionale di Messina (I proprietari del castello sono stati da sempre Carlo e Guiscardo Avarna, mentre lo scomparso duca Giuseppe era solo usufruttuario, come stabilì lo zio Nicolò, morto senza prole) e un progetto globale di tutela, si potrebbe disegnare un’ipotetica “ducea” degli Avarna reinventata a fini turistico-culturali.

Soccorso, l’altra importante frazione, dista invece due km da Gualtieri ed è a duecentoventi metri sul livello del mare; qui il terreno è coltivato ad uliveto e dalle olive si ottiene un olio pregiato.

Veduta panoramica di Gualtieri

Gualtieri è il paese dei torrenti

Gualtieri è il paese dei torrenti: il suo territorio è infatti attraversato da diversi corsi d’acqua dai nomi curiosi: Gualtieri, Divali, Limutru, Mulosarà, Pomara, Terrate, Raunuso. Si tratta di un’area il cui mantello vegetale è stato da sempre caratterizzato da agrumeto, bosco e oliveto.

Gli agrumi, coltivati nei pressi del centro urbano, rappresentavano fino a poco tempo fa la principale fonte economica del paese. Oggi le arance spesso marciscono sugli alberi, nonostante il fatto che quelle di Gualtieri, della varietà “Belladonna” siano rinomate per la loro raffinata qualità.

I primi dati che permettono di tracciare l’andamento demografico di Gualtieri risalgono al Sedicesimo secolo e, comparati con le informazioni ricavabili nel 1861, si rileva un andamento costante di crescita della popolazione che raggiunge l’apice nel 1921, quando il paese faceva registrare 3566 abitanti.

L’inversione di tendenza comincia inesorabile nel 1951: trent’anni dopo a Gualtieri e dintorni vivevano mille persone in meno (2472, censimento 1981). Nel 1991, 2357 abitanti, per finire al dato odierno che è ancora più desolante (2173 abitanti) e smentisce le previsioni computerizzate fatte un decennio fa dai ricercatori dell’Università di Palermo, che prevedevano per il 2000 la presenza di 2428 abitanti.

Il suo territorio non lambisce la costa

Gualtieri, al contrario degli altri comuni limitrofi, non si estende sino alla zona marittima. Il centro storico del paese presenta le classiche abitazioni a due e tre elevazioni fuori terra e coperture a tetto.

Tra i beni culturali vanno segnalate le chiese dell’Annunziata (I cui resti oggi fungono da deposito di carcasse d’automobili. E’ rimasta in piedi la cupola di epoca bizantina, il resto è stato distrutto da un alluvione del’Ottocento e dal terremoto del 1908), dell’Assunta, di San Nicola (restaurata di recente) e lo storico ponte del 1600, un capolavoro d’ingegneria che è miracolosamente sopravvissuto giungendo sino a noi integro e attraversabile, seppure rigorosamente a piedi.

Il ponte del 1600

D’estate sotto le arcate del ponte i contadini del rione Misericordia si godevano l’ombra e un po’ di frescura al ritorno dal lavoro nei campi.

Il legame tra il paese e gli Avarna risale alla seconda metà del Settecento

Allora il feudo di Gualtieri fu assegnato a Bartolomeo Avarna, assieme a Sicaminò e Soccorso

La storia del paese si è invece incrociata con l’antica famiglia di origine normanna degli Avarna nella seconda metà del Settecento, quando il feudo di Gualtieri fu assegnato a Bartolomeo Avarna

Il nome Gualtieri trae invece la sua origine dal latino Gualteris che, assieme a Sicaminò e Soccorso, faceva parte di un territorio esonerato da imposte che provenivano da atti e privilegi risalenti all’Imperatore Svevo Federico II Re di Sicilia.

Testo e fotografie di Francesco Venuto , pubblicato una prima volta sulla Gazzetta del Sud nel 1999

La fine di un’epoca

Con la scomparsa di Giuseppe Avarna scende il sipario sui tempi favolosi dei fasti nobiliari, che il vecchio duca aveva conosciuto vivendo intensamente, e poi perduto.

La continuità dell’ultimo ramo siciliano della nobile famiglia d’origine normanna è affidata ai due figli maschi di Giuseppe, Guiscardo e Carlo (tra l’altro entrambi senza prole), ormai calati in una dimensione di vita reale, lontana dalle glorie e dai sogni di grandeur della nobiltà siciliana, di cui hanno potuto gustare solo pallidi scorci da ragazzini.

La storia del paese

La storia di Gualtieri Sicaminò, un paese della provincia di Messina oggi di 2137 anime, s’incrocia con gli Avarna nella seconda metà del Settecento, quando il feudo di Gualtieri venne assegnato a Bartolomeo Avarna, il quale, senatore e capitano di giustizia a Palermo, cavaliere Gerosolimitano, fu insignito dal Re Ferdinando I di Borbone del titolo di duca di Gualtieri ed elevato al rango di Pari del Regno per avergli fornito l’armamento di un reggimento di cavalleria.

La famiglia Avarna, detta anticamente “Guarna” o “Varna”, discende da Goffredo, uno dei dodici figli di Tancredi d’Altavilla e fratello di Roberto il Guiscardo.

Cinque secoli di storia passati tenendo sempre alto il blasone, gli Avarna detennero le cariche politiche più ambite, furono vescovi, consiglieri di sovrani, cavalieri Gerosolimitani e dell’Ordine militare della Stella. Grandi maestri di quest’Ordine sono stati Francesco, Niccolò. Giacomo fu invece il principale condottiero nella guerra di Messina dal 1672 al 1678; fu poi bandito e condannato a morte e per questo fu costretto a riparare in Francia, dove morì con il grado di generale di cavalleria alla battaglia di Steinkerque, nel 1692. Altri personaggi di rilievo furono Mariano, barone di Triacri e Manganesi, maestro della Zecca; Francesco, Vicario generale del Regno nel 1709; un suo omonimo, barone di Sicaminò è stato Auditor supremo di guerra nel Regno di Sicilia; Bartolomeo, Duca di Gualtieri, è stato due volte Capitano giustiziere di Palermo; Carlo, duca di Gualtieri, per 25 anni fu Ministro di Stato, cavaliere degli ordini supremi di San Gennaro e di San Ferdinando e, dal 1830 al 1836, anno della sua morte, presidente del consiglio dei ministri del Regno. Dei quattro rami di questa famiglia, il primo si estinse alla fine del Sedicesimo secolo con Maria Antonia che sposò Lorenzo Gioieni, principe di Castiglione e Straticò di Messina, al quale portò in dote la baronia di Santa Caterina ed il ricchissimo maggiorato di casa Avarna. L’unica figlia di Maria Antonia, Isabella, sposò Marco Antonio Colonna. Il secondo ramo degli Avarna, quello dei conti di Castroello, si estinse nell’Ottocento con Gaetana, moglie del principe del Parco e la sorella Pina, che sposò in seconde nozze il Principe di Fitalia. Il terzo ramo si estinse nel 1854 con Francesco Avarna, duca di Belviso e visconte di Francavilla. Oggi esiste il solo ramo dei duchi Avarna di Gualtieri. Al casato diede particolare lustro il Duca Giuseppe nato a Palermo il 19 marzo 1843: nel 1866 entrò nella carriera diplomatica. Fu dapprima nominato ministro plenipotenziario ad Atene e poi, nel 1904, inviato a reggere l’ambasciata italiana a Vienna, dove rimase fino alla dichiarazione di guerra dell’Italia all’impero Austro-Ungarico, che consegnò personalmente al governo Austriaco. Un atto che eseguì a malincuore poiché era amico personale dell’imperatore Francesco Giuseppe, dal quale era stato insignito con le più alte onorificenze del suo Paese, e perché riteneva che una tale iniziativa avrebbe potuto accendere le polveri di una vera e propria “rivoluzione sociale”. Vittorio Emanuele III elevò Giuseppe Avarna al rango di cugino del Re con le insegne del collare della S.S. Annunziata. Presso l’archivio storico diplomatico del ministero degli Affari esteri, settore “archivi di personalità”, sono custoditi i carteggi inerenti all’attività diplomatica del vecchio Duca di Gualtieri.

Testo e fotografie di Francesco Venuto , pubblicato una prima volta sulla Gazzetta del Sud nel 1999