Silvio papalia Jerace, I sogni nel cassetto di un poeta

MESSINA – Inghiottito dai libri che tappezzano le pareti della sua casa in via Palermo, Silvio Papalia Jerace, «scrittore», come recita una targhetta murata all’ingresso, a ottant’anni ha ancora tante cose da dire. Intanto non ha perso l’abitudine di leggere il giornale e, subito dopo, di sedersi a ricopiane i titoli con la sua Olivetti azzurra. Un «vizietto» che si trascina da quando era piccolo, un’attività marginale rispetto a quelle di storico e di poeta, ma che lo ha reso celebre tra i ricercatori della storia messinese dell’ultimo secolo.

In particolare la raccolta di notizie sulla città, nel periodo che va dal 1901 al 1923, è stata utilissima per scovare le tradizioni popolari perdute con l’avvento del fascismo. Uno strumento che in realtà non è stato mai pubblicato, come del resto buona parte della produzione di Papalia; le copie in possesso della Biblioteca regionale sono ancora quelle che ha donato lo scrittore, due volumi di fogli dattiloscritti rilegati alla meno peggio.

In effetti il rapporto di Papalia con le case editrici non è mai stato idilliaco e sbirciando nella cassapanca dove custodisce gelosamente i suoi manoscritti, frutto del lavoro di una vita, si avverte la sensazione che, alla fine, a perderci è proprio la città, considerando pure le pubblicazioni di storia locale presenti in libreria.

Ma chi è veramente Silvio Papalia Jerace?

«Un ragazzo che nel 1939 si accorge di avere scritto delle poesie e decide di raccoglierle in un volume “Fontana canora”. I1 quattordicesimo che ho ancora in corso si chiama “Usque ad Limina”».

Poeta e storico: quale dei suoi interessi le dà più piacere?

«Il mio carattere sentimentale mi ha portato sin da piccolo a scrivere poesie. Gli studi storici, invece, mi hanno trascinato nel mondo misterioso del passato».

E proprio nel corso dei suoi viaggi a ritroso, frequentatore fisso della biblioteca universitaria, scopre che l’allora direttore Enrico Camagna, pensando di salvare i libri, ebbe la felice idea di murare le finestre degli scantinati dove erano custoditi.

Papalia, assieme a Giuseppe Sciarrone, un ex bibliotecario, avverte il ministero competente del grossolano errore. Subito dopo iniziano i lavori per arieggiare di nuovo i locali ma era troppo tardi e già buona parte dei libri dal secolo XV al XIX, a causa dell’umidità, si erano ridotti a nere tavolette che si sgretolavano tra le mani.
Un patrimonio librano perduto, ma anche un grazie da parte del ministero perché nel frattempo i due studiosi erano riusciti a salvare sei incunaboli.

Silvio Papalia Jerace è stato anche direttore della biblioteca comunale «Tommaso Cannizzaro», dove ha avuto modo di frequentare Nitto Scaglione, noto critico teatrale, morto nel 1951 di tubercolosi.

«Era l’uomo più buono del mondo, un originale, bravissimo nel suo lavoro: ideò l’archivio storico del Comune. Ricordo ancora quando mi dicva: “Papaliedda tu devi prendere il mio posto”».

Viveva stabilmente nell’albergo del suo grande amico Angelo Musco, dove oggi c’è l’Upim. Forse la vicinanza di un grande conoscitore dello spettacolo a Messina ha incoraggiato Papalia a scrivere la «Storia del Teatro Mastrojeni e dello spettacolo a Messina (1909 -1930)», un’altra di quelle opere mai pubblicate che giacciono nella cassapanca-archivio dello scrittore.

Qual è l’opera che le piacerebbe vedere pubblicata?

«Da quarant’anni lavoro ad un’enciclopedia riguardante la stona della chiesa in Sicilia e a Malta: trentamila voci raccolte in altrettante schede e ancora non è ultimata. In essa vi sono trattati tutti gli aspetti dell’argomento: storia, arte, letteratura, folklore, cronologie varie, agiografie, etc. Sono convintissimo che questa opera monumentale possa interessare le autorità ecclesiastiche della Sicilia e di Malta».

Dal cassetto della sua scrivania tira fuori un passaporto diplomatico di colore rosso intestato al senatore Silvio Papalia Jerace.

Lei e un senatore della Repubblica?

«No, io sono un senatore del Parlamento mondiale per la sicurezza e la pace, che fu fondato a Cipro molti anni fa grazie all’arcivescovo Macarios e l’arciveseovo palermitano Victor Busà. E’ un organismo umanitario esteso a tutti i paesi. Io sono stato eletto senatore per meriti culturali.

Un discorso a parte meriterebbe la storia del matrimonio dello scrittore con la signora maltese Evelyn Portanier, avvenuto nel 1938 e osteggiato dal governo fascista, perché straniera. Ma Papalia, che è anche avvocato, sapeva come prendere in giro le leggi fasciste.

1990 – Francesco Venuto