Filicudi, qui vive Sergio Casoli, gallerista di successo

FILICUDI – E’ stato uno dei galleristi italiani più intraprendenti e prestigiosi, folgorato dal ”sacro fuoco” dell’arte fin da quando era un ragazzo. Da pensionato Sergio Casoli, invece, ha scelto di vivere nella magica solitudine di Filicudi.

Nato a Milano da genitori emiliani, cresciuto col chiodo fisso dell’arte, decide di trasformare la sua passione in lavoro dopo avere scartato l’ipotesi degli studi universitari, con un progetto ambizioso: fondare non una ma due gallerie d’arte.
La prima a Milano e l’altra a Roma, quest’ultima aperta solo cinque anni fa, dove sono esposti quadri d’arte moderna e contemporanea, ”oggetti del desiderio” di molti esponenti dell’elite borghese, amanti dell’eleganza e del buon gusto, compiaciuti nell’ammirare la rappresentazione di un’idea sulle pareti di casa fastosa.
Ad ospitare le sue esposizioni nella città eterna è il mitico studio di Lucio Fontana sul corso Monforte, divenuto famoso col nome “Studio Casoli”.
A pochi mesi fa risale la decisione di Sergio di chiudere la galleria romana e di sospendere l’attività di quella milanese. Molti si sono chiesti quali siano stati i motivi che hanno portato a questa decisione un artista come Casoli, convinto assertore dell’anticonformismo e buon negoziatore anche quando il mercato ha dato cenni di perplessità. Anche noi glielo abbiamo chiesto, ma in un contesto particolare: è sdraiato sul “bisuolo” di casa sua a Pecorini Alto, accanto alla sua bella fidanzata mora, Maria.
Rinunciare ai piaceri di una vita mondana, rinomata, tipicamente d’elite: perchè?
«Sono un po’ stanco delle comodità cittadine e della responsabilità etica del gallerista. La mia è una questione di consapevolezza.
Il mondo sta cambiando e anche l’arte. Ho scelto Filicudi perché per me rappresenta l’Italia di quand’ero bambino: un’Italia semplice, rurale, con poco cemento intorno.
Amo molto i terreni e le coltivazioni, anzi, penso che ne comprerò altri. Adesso ”espongo” giare e gli strumenti del faticoso lavoro dei campi sul solaio della mia cucina».
Da quando frequenta Filicudi?
«Esattamente dal 1991, quando venni in vacanza a Stimpagnato, ospite fisso di alcuni amici. Sono stato folgorato da tanta semplicità, al punto che decisi subito di comprare una casa.
L’ho trovata, quella che propria andava bene, solo quattro anni fa. E’ in via di ricostruzione, e intanto abito in quella di mia sorella».
Secondo lei andrebbe cambiato qualche aspetto dell’assetto sociale o politico di Filicudi?
«La mia idea è che migliorare l’istruzione e incentivare i giovani sia sempre una conquista. Mi sono accorto che qui manca lo stimolo all’azione, ma appena ne dai uno tutti partecipano. I ragazzi e gli isolani in genere sono molto accoglienti ma hanno bisogno di questo, di stimoli, per amare di più la propria isola e se stessi.
Inoltre lavorare a Filicudi solo un mese durante l’estate non credo che basti. Una soluzione sarebbe quella di ritornare al lavoro dei campi, progettando, con i dovuti sistemi, un piano agricolo funzionale che permetta agli abitanti di ricevere dalle piccole colture parte degli alimenti, come un tempo. Tutto questo potrebbe facilitare anche la tutela dell’immenso patrimonio dei muri preistorici. Se poi vi fosse anche una coscienza politica forte, si potrebbe provvedere all’eliminazione delle brutture che deturpano questi luoghi»

Gabriella Federico