Villafranca, nel 1998 chiude il cementificio della ricostruzione di Messina dopo il terremoto del 1908

VILLAFRANCA – Qui nessuno oramai si ricorda dei giardini coltivati ad agrumeti: i fumaioli della vecchia cementeria in disuso di Villafranca Tirrena sembrano parte insostituibile del panorama locale. Eppure quest’immensa area su cui sorge un pezzo di storia della nostra provincia (il cemento prodotto a Villafranca contribuì alla ricostruzione di Messina post-terremoto) che ha significato per alcune decine d’anni posti di lavoro per diverse centinaia di operai, che ha anche visto il sacrificio di un significativo numero di vite umane a causa dei frequenti incidenti sul lavoro, oggi è diventata un serio problema che andrebbe affrontato al più presto.
Il vecchio stabilimento di proprietà dell’”Italcementi Group”, ormai in preda al degrado con i suoi 84 anni di età, ha bisogno di essere bonificato a causa della presenza nei suoi impianti di amianto e di materiali appartenenti alla categoria dei rifiuti speciali. L’allarme a dire il vero era già stato lanciato lo scorso anno quando i membri della minoranza del consiglio comunale di Villafranca Tirrena con un volantino avvertirono del pericolo la cittadinanza. Affermazioni peraltro mai smentite pubblicamente dagli uffici della stessa Italcementi, ma che causarono non pochi risentimenti a livello locale tra coloro che in qualche maniera tengono ancora i contatti con la società bergamasca. Probabilmente il motivo è quello che una brusca accelerazione alla ricerca di una soluzione del problema-stabilimento  potrebbe causare un danno economico all’Italcementi o a chi con essa intende concludere affari. E pare che il vecchio cementificio, a livello locale, ma non solo, faccia gola a parecchi imprenditori e per molti buoni motivi, tra i quali quello della possibile realizzazione al suo interno di una grande speculazione edilizia (l’area si trova a ridosso del nucleo abitativo storico del paese, al confine con il comune di Saponara e si estende per diversi ettari sulle collinette che sovrastano il centro tirrenico). Potrebbe così nascere un grande complesso residenziale, una sorta di paese nel paese, attraente per i servizi che si realizzerebbero al suo interno (giardinetti, impianti sportivi ecc.) e per quelli che il paese reale già offre, come il centro ippico che si trova ad un tiro di schioppo dall’area in questione. Diciamo che questa è l’ipotesi tuttosommato meno dolorosa che permetterebbe a Villafranca Tirrena un importante incremento della popolazione residente, restituendo alle disastrate casse comunali denaro fresco proveniente dagli oneri di urbanizzazione e dalle tasse varie di costruzione. Resta comunque in piedi una serie di problematiche di non poco conto, come quella degli elevati costi per la bonifica dell’area, per la demolizione e per il conferimento in discarica degli impianti esistenti; tutte manovre che vanno tassativamente eseguite da ditte specializzate che rendono l’operazione antieconomica nonostante l’ampiezza dell’area. E poi si tratta pur sempre di una zona destinata da quasi un secolo ad attività industriale e quindi vanno affrontati anche i problemi burocratici di trasferimento di tale assegnazione, con i tempi biblici con cui marcia la burocrazia italiana, e siciliana in particolare, i canali politici da attivare e tutto il corredo di operazioni utili per sollecitare questo tipo di imprese. Probabilmente la soluzione più economica era rappresentata dalla mossa fatta alcuni mesi fa dal comune di Villafranca Tirrena: il sindaco Domenico Battaglia, che è anche Responsabile unico del Contratto d’area di Messina (reindustrializzazione area ex Pirelli), con una mossa da politico consumato aveva chiesto al consiglio di avallare un’ordinanza con cui si chiedeva di inserire il vecchio stabilimento nelle aree di pertinenza dell’Asi, sollecitandone l’inserimento nel Prg dell’ente messine. La soluzione più pratica e immediata, tra l’altro vista evidentemente di buon occhio dai vertici dell’Italcementi Group. Il motivo è semplice: da una parte a Villafranca si sarebbero potuti ospitate molti più imprenditori di quelli che può occogliere l’area ex Pirelli; la bonifica sarebbe stata eseguita con fondi statali sicuramente gestiti dalla Messina Sviluppo ed il comune si sarebbe scrollato di dosso un problema che presto o tardi diventerà di una gravità tale da far scattare provvedimenti e ingiunzioni sul fronte sanitario per la salvaguardia della salute pubblica. Ma quando tutto sembrava andare per il verso giusto, a convincere i consiglieri comunali della bontà dell’operazione era giunto in aula persino il presidente dell’Asi Angelo Sottile, l’assenza di un consigliere di maggioranza e i dubbi dell’alleato diessino del gruppo che sostiene la giunta Battaglia hanno mandato tutto all’aria. Quindi adesso giocoforza si dovrà ricominciare tutto daccapo. Ovviamente molto dipenderà dalla volontà dell’Italcementi di investire il proprio denaro nella bonifica dell’area: quella del rispetto per l’ambiente per la società bergamasca sembra essere diventata un’esigenza indifferibile: nelle pagine internet l’Italcementi group si pregia di illustrare come ha ricostituito la fauna e la flora selvatica in una grande cava quasi all’interno dei parchi del Gran Sasso, della Maiella e d’Abruzzo. Lavori iniziati verso la fine degli anni Settanta. Nelle altre pagine viene descritto il funzionamento degli elettrofiltri, installati anche a Villafranca Tirrena dopo decenni di sofferenze della popolazione a causa dell’imponente emissione nell’aria di polveri non filtrate. Buoni propositi per l’ambiente che si incrociano scorrendo le pagine on line con l’annuncio della costruzione, 20 miliardi di lire di investimento, di un nuovo impianto di macinazione che si realizzerà a Catanzaro. Mentre nei prossimi tre anni Italcementi ed altri imprenditori europei spenderanno 100 miliardi di lire per il lancio di un portale Internet destinato agli specialisti del settore, che si chiama “Bravobuild.com”. E mentre a Villafranca Tirrena è finita la produzione e sono rimasti i cocci in attesa che qualcuno li raccolga, a Borgo San Dalmazzo “decine di scolaresche visitano uno degli stabilimenti più importanti d’Italia” nell’ambito di un’iniziativa da caserma denominata “Porta aperte alla cementeria di Borgo San Dalmazzo”. Paradossalmente se uno stabilimento in attività merita di essere visitato, figuriamoci l’nteresse che potrebbe suscitare un pezzo di archeologia industriale come quello di Villafranca Tirrena: e l’ipotesi di fare della fabbrica villafranchese un museo era stata suggerita più volte e avrebbe avuto anche possibilità di racimolare fondi in ambito europeo e della stessa Regione Siciliana. Non ci ha creduto nessuno dei politici locali, che sono rimasti a guardare quando tutti i beni mobili della fabbrica, le officine, gli antichi arredi e le cose che potevano anche apparire insignificanti ma utili per l’eventuale destinazione storico-espositiva, sono state disperse in fretta e furia, vendute al chilo per poche lire. Ma questa è purtroppo un’altra storia.

Francesco Venuto, 20 agosto 2000

Cronistoria della cementeria di Villafranca Tirrena

Nel 1919 si ebbero i primi sopralluoghi da parte della direzione tecnica centrale di Bergamo, per l’analisi delle materie prime, scelta della posizione per la nuova cementeria e le pratiche di esproprio terreni. Nel 1921 1’Unione Edilizia iniziò la costruzione della Cementeria in località Chiusa o Saponara Bauso ed installò la derivazione presa acquedotto Orioles con tubazione di 4″ e della lunghezza di mt. 3.500.

Nel 1923 la cementeria venne corredata di raccordo ferroviario.

Nel 1924 con la denominazione di “Fabbriche Riunite Cementi e Calce Bergamo” la cementeria di Bauso entrò in funzione.

Macchinari iniziali: 1 forno Fellner Zeigler di 90 tonnellate ogni 24 ore (Procedimento via umida); 1 molino per il prodotto crudo; 1 molino per il carbone; 2 molini per il prodotto cotto; 2 insaccatrici a mano. Le materie prime si trovavano a mezzo chilometro dall’officina. I trasporti erano a trazione animale. La corrente elettrica era generata in proprio con ben quattro motori Diesel per complessivi 1000 cavalli. Una parte era fornita dalla Società Elettrica Messinese.

Successivi sviluppi: nel 1926 fu installato un secondo forno Nathan-Uboldi capace di produrre 90 tonnellate di materiale ogni 24 ore. Nel 1929 fu impiantato un terzo forno, marca Breda, con produzione di 90 tonnellate di prodono ogni 24 ore. Nel 1929 Bauso cambiò il nome in Villafranca Tirrena e di conseguenza anche la cementeria prese la nuova denominaziane.

Nel 1930 la cementeria entra nella prima fase di grandi sviluppi aggiungendo agli impianti esistenti un terzo molino per il crudo, un terzo molino per il cotto (ditta Mannstaedt), 1 frantoio Polysius Zet XII. Nello stesso anno furono costruiti tre silos per il carbone serviti da gru a ponte con l’aggiunta di un quarto silos nel 1950. I trasporti delle cave furono dotati di 2 locomotori elettrici (con aggiunta di un terzo locomotore nel 1950).

L’insaccamento ebbe in dotazione una prima macchina Bates a tre ugelli. Nel 1940 furono allungati i primi due forni di metri 22, portando così la produzione giornaliera a 140 tonnellate. Nel 1941 fu montato il quarto molino per la macinazione del cotto della ditta Polysius con produzione di 150 quintali I’ora. Durante la guerra, nel

1943, i reparti vasche-fomi e raccordo, subirono sensibili danni da bombe lanciate dagli alleati. Nel 1950 la cementeria di Villafranca Tirrena produce nella quasi totalità cemento portland ed ha una capacità produttiva di 100.000 tonnellate annue di clinker e 150.000 tonnellte di finito con un consumo di circa 8 milioni e mezzi di Kw ora annui, fomiti dalla Societa Generale Elettrica della Sicilia.

Nel 1951 erano in servizio 1 direttore, 2 impiegati tecnici, 7 impiegati amministrativi, 15 persone fra sorveglianti e capi e 185 operai. Gli anni successivi grazie all’automazione ed al miglioramento degli impianti, si è assistito ad un progressivo ridimensionamento della forza lavoro e con nuove assunzioni che in larga parte erano frutto di una specie di alternanza tra parenti (andava in pensione il padre, entrava il figlio). La cementeria ha chiuso definitivamente i battenti nel marzo del ’98.

Francesco Venuto