VENETICO – Fine giugno del 1743: la peste giunge a Venetico, seminando il terrore e la morte in un sereno paesino collinare la cui vita trascorre al lavoro nei campi.
“In principio il presunto untore fu identificato nella figura di un prete confessore – annota nei registri parrocchiali l’abate Francesco Testa -.
I primi a pagare per il contatto con il sacerdote furono i parenti e le persone che abitavano assieme a lui”. I religiosi, infatti, erano i più esposti al contagio: “I parroci segnano con estrema cura le date di inizio e di fine del fenomeno epidemico, le causae mortis, i luoghi di sepoltura, i dati essenziali dei defunti – Noncuranti dei rischi di contagio, essi seguono da presso i moribondi, spesso riuscendo a portare gli ultimi sacramenti, l’estrema unzione, fino alla soglia del sacrificio personale”, si legge tra le altre cose nel contributo di Rosaria Stracuzzi, pubblicato nella “Guida al patrimonio librario antico delle biblioteche pubbliche e degli archivi storici ecclesiastici nella provincia di Messina”, edita dalla Regione Siciliana e curata da Anna Maria Sgrò, direttore della sezione per i beni bibliografici della Soprintendenza per i Bca di Messina.
L’analisi della Stracuzzi offre un quadro di vita Settecentesca nella provincia che può illuminare anche sui successivi risvolti storici e sulla realtà odierna del centro tirrenico che, in tempi più recenti, è stato colpito in modo irrimediabile da un altro tipo di epidemia, quello della “fuga” dai piccoli paesi collinari che oggi, spopolati, vivono, tranne rarissimi casi, di luce riflessa. Nel 1714 a Venetico furono censiti 712 abitanti; l’epidemia stroncherà 429 anime, un dato pari ad oltre il 60 per cento della popolazione e che, in realtà, potrebbe essere sottodimensionato rispetto all’ipotesi più verosimile, e cioè che i morti furono pari al 71 per cento, cioè alla punta toccata nella sola città di Messina.
La cronaca degli avvenimenti epidemiologici di Venetico è giunta a noi perché il parroco di allora sopravvisse alla peste e annotò con meticolosa precisione le sepolture dell’intero periodo che va dal 25 giugno 1743 al 12 gennaio 1744, 17 fogli che, per gli storici locali, assumono “involontariamente” il ruolo di fonte primaria su di uno degli avvenimenti più sconvolgenti registrati nel paese. L’analisi dei numeri, poi, mette in evidenza altri particolari di un certo interesse: le donne morte a causa della peste furono 217 contro i 212 uomini. Le fasce d’età colpite sembrano ben circoscritte, e non si tratta di un caso: si salvano dall’epidemia i neonati, i bimbi tra i 2 e i 5 anni e gli ultrasettantenni. Cioè chi è costretto per l’età e per la non attività a rimanere in casa. Ma il desiderio di rinascere dall’inferno della sofferenza e tornare a vivere secondo i ritmi consueti e tranquilli, oltreché la capacità procreativa dei sopravvissuti al flagello non furono intaccati.
Nel 1744 gli stessi registri conservati nella Parrocchia di San Nicolò di Venetico, stavolta quelli matrimoniali, rivelano una sorta di corsa per convolare a nozze: 36 matrimoni e 41 pubblicazioni. Cinque di Venetico vanno a sposarsi altrove, dodici sposi arrivano da altre parrocchie, San Martino (Spadafora), Rocca, Valdina, Milazzo, Messina e Aversa. Un record di matrimoni che cinque anni dopo, quando si registrò un’altra punta massima di unioni, non verrà nemmeno sfiorato (14 matrimoni, otto degli sposi provenienti da fuori parrocchia). Il filo logico seguito da Rosaria Stracuzzi nel suo contributo giunge all’analisi dei dati sulla natalità: i matrimoni del 1744 non sembrano destinati alla procreazione ma alla ricostituzione delle coppie e delle famiglie; nei due anni che seguono nascono infatti 39 e 42 bambini, solo nel 1751 si assiste all’impennata delle nascite, 58, che viene confermata, seppure con una lieve flessione, nel 1752 (50) e 1754 (49). Le date dei concepimenti – fa notare la ricercatrice – sono stagionalizzate seguendo i tradizionali modelli procreativi che li esclude nei periodi di Avvento e Quaresima e nelle fasi agricole successive ai raccolti.
Venetico, a causa della peste, subisce l’isolamento forzoso che era già stato disposto dai principi di Villafranca (Saponara) e Monforte per Messina. Ma proprio a Venetico il cordone sanitario si smaglia e la peste viene introdotto anche a Bavuso (l’odierna Villafranca Tirrena). In questo caso fu sospettata della trasmissione del contagio una donna che si avventurò nella terra di Venetico forse per motivi sentimentali. Da allora Venetico fu cinta d’assedio e gli abitanti costretti a rimanere tra le sue mura sino al cessato allarme.
maggio 1997
Francesco Venuto